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Sfruttare onde e correnti | È giunto il momento di puntare seriamente sull’energia marina

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Sfruttare la potenza delle onde e delle correnti per produrre elettricità pulita. C’è chi la definisce la grande sfida di questo secolo o addirittura di questo millennio, anche se l’attuale crisi del gas – e la necessità di diversificare fin da subito puntando sulle rinnovabili – dovrebbe immediatamente trasformare la cosiddetta energia marina da favola a priorità concreta. Soprattutto in una penisola come la nostra, contraddistinta da quasi 8mila chilometri di coste e bagnata da sei sottobacini del Mediterraneo

Questo tema è però assente dal dibattito pubblico e dalle agende di chi dovrebbe aprire il portafoglio e investire. Una sensazione confermata da una semplice ricerca su Google: scovare articoli autorevoli in italiano sull’energia prodotta dal mare non è poi così semplice. Resta una prerogativa dei ricercatori, che da anni ne rammentano l’importanza ma non trovano riscontri nella politica, nelle aziende e nei media. Il risultato è che i mari e gli oceani rimangono una riserva energetica quasi inutilizzata. I motivi principali sono i costi elevati, le difficoltà a livello di manutenzione e, soprattutto, gli scarsi investimenti pubblici. 

Nel 2021, secondo un report dell’International renewable energy agency (Irea), l’energia marina contava una capacità installata di 524 Megawatt a livello globale: una cifra molto simile – e in alcuni casi più bassa – rispetto ai nove anni precedenti (524 nel 2020, 525 nel 2019, 526 nel 2018…). Poco più della metà (241 MW) era installata in Europa, con la Francia in posizione dominante (212) e l’Italia ai margini. Questi dati mostrano innanzitutto che l’energia del mare è statica in (quasi) ogni angolo del Pianeta. E per fare un paragone con le altre fonti rinnovabili, la capacità installata di energia eolica nel mondo era di 824.874 megawatt nel 2021 (il triplo rispetto al 2012), mentre per l’energia solare eravamo a quota 849.473. Un divario abissale. 

Ma l’Ocean energy system dell’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) e l’Ocean energy europe 2016 sono più ottimisti: entro il 2050, l’energia marina avrà una capacità installata di 100 Gigawatt (oggi, ricordiamo, siamo a poco più di 500 Megawatt) e soddisferà il 10 per cento dei consumi elettrici europei. Un incremento che porterà 40mila posti di lavoro in più.

L’ultimo report di Ocean energy europe, inoltre, mostra che le installazioni che catturano la potenza delle onde sono triplicate tra il 2020 e il 2021 (ma si concentrano soprattutto in Scozia, Spagna, Portogallo e Paesi Bassi), mentre quelle che sfruttano le correnti sono decuplicate (ma la potenza installata è di soli 2,2 Megawatt complessivi).

L’energia del mare è reperibile in diverse forme. Tra le più note ci sono le correnti d’acqua orizzontali, che si possono sfruttare impiegando turbine sottomarine ad asse orizzontale, esteticamente e tecnicamente molto simili a quelle che “trasformano” il vento in elettricità.

«Ci sono poi altri sistemi in fase di studio che, per esempio, sfruttano i gradienti termici (le variazioni di temperatura tra le correnti che ci sono tra superficie e profondità) e i gradienti salini. Quest’ultimo è un fenomeno tipico delle foci dei fiumi, per via della differenza di salinità con il mare. Le correnti, al momento, rimangono le più importanti, e sono tipiche della zona dello Stretto di Messina: c’è una grande disponibilità», spiega a Linkiesta il professor Felice Arena, docente di Costruzioni idrauliche e marittime e idrologia presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Grazie alle correnti che lo attraversano, lo Stretto potrebbe produrre 125 GW/h di energia all’anno. 

Intervistato durante la Biennale dello Stretto, Arena ci ha spiegato che in Italia esistono poche aree geografiche in cui le correnti sono significative. Per sfruttare a dovere lenergia del mare, quindi, si può usare anche il moto ondoso: le tecnologie ad hoc sono ancora acerbe e in fase di sviluppo, ma le onde hanno il vantaggio di essere meno intermittenti delle correnti: «Potrebbero potenzialmente soddisfare una buona fetta del nostro fabbisogno elettrico», sostiene l’esperto.

A tal proposito, uno dei progetti più virtuosi in Europa si chiama REWEC3 ed è stato progettato da un team di ricercatori del Noel (Natural ocean engineering laboratory), guidati dal professor Paolo Boccotti dell’Università Mediterranea. L’obiettivo consiste nel trasformare – grazie a una particolare turbina – le dighe portuali in strutture attive: la cresta dell’onda arriva da sinistra, l’acqua entra in una specie di camera d’aria e si muove con un pistone, per poi essere trasformata in energia.

«Con il Noel di Reggio Calabria stiamo testando in mare diversi sistemi di sfruttamento delle onde. Ne abbiamo costruito uno a Civitavecchia e uno a Salerno: mancano solo le turbine ed è pronto», dice Felice Arena. Il progetto nella città campana sarà operativo nel 2023 e sfrutterà l’energia prodotta dalle onde tramite una tecnica innovativa: «Potrebbe diventare il miglior caso al mondo: avrà rese molto più alte delle esperienze portoghesi, spagnole, australiane. Il motivo? Lavorerà sulla risonanza naturale delle onde, un fenomeno che amplifica le loro oscillazioni. Questo sistema ha futuro: rispetto ai precedenti, riesce a catturare anche l’80-90 per cento dell’energia. I precedenti si fermavano a 40-50», aggiunge il professore. 

Quelli di Salerno e dello Stretto sono due casi senza dubbio interessanti, ma purtroppo – come testimoniano i dati riportati sopra – non fanno parte di un trend. «In Italia non ci sono investimenti mirati da parte dello Stato. Abbiamo buttato via tanti soldi e non abbiamo avuto coraggio. Noi siamo riusciti a trovare fondi, ma è stato merito di Bruxelles. Finora abbiamo ottenuto risultati inserendo le nostre idee all’interno di progetti infrastrutturali», ci spiega il professor Arena. 

Il professore ha ragione: nel 2018, secondo un report di Cogea e WavEC, il 75 per cento degli investimenti in progetti marini nel mondo proveniva dai privati. La stessa Ocean energy Europe (Oee) ha registrato un incremento degli investimenti privati e l’ingresso di «importanti attori industriali» in grado di confermare «la crescente attrattività» dell’energia prodotta dalle onde e delle correnti. Manca, però, lo sforzo dei governi. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) prevede 700 milioni di euro per le tecnologie rinnovabili innovative, ma l’energia marina viene solo menzionata. Dall’altra parte, l’Italia è tra i sei Stati membri dell’Unione europea ad aver adottato politiche per lo sfruttamento di questa risorsa. In più, i nostri prototipi con un “livello di maturità tecnologica” pari o superiore a sette sono cinque (e non è poco). Qualcosa, insomma, si muove, ma è necessaria un’accelerazione. 

Va poi considerata la questione costi (non solo di installazione), anche se alcuni studi sostengono che l’obiettivo dei 10 centesimi di euro per Kilowattora possa essere raggiunto entro il 2030 per l’energia delle correnti e nel 2035 per le onde. Diversi esperti, inoltre, pensano che ci sia bisogno di studi più approfonditi sull’impatto ambientale degli impianti su scala industriale. «Il mare è un ambiente molto aggressivo, dunque non è facile puntare sull’energia marina. Per esempio, dato che le turbine si trovano in acqua, la manutenzione è molto complessa», conclude Felice Arena, secondo cui le difficoltà non costituiscono degli ostacoli insormontabili: ci sono tutti i presupposti per provare a invertire la rotta.  

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