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Sovranismo finanziario | La semplicità dei Btp Italia e l'inflazione aiutano il patriottismo fiscale del governo Meloni – Linkiesta.it

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A Palazzo Chigi tira aria di sovranismo, sovranismo che soffia persino sui buoni del tesoro. Si è chiusa la diciannovesima emissione del Btp Italia, il titolo governativo pensato per i piccoli risparmiatori che neutralizza l’inflazione. Non una semplice obbligazione, tuttavia, ma una freccia all’arco del governo Meloni per italianizzare il debito pubblico: vale a dire, aumentare la quantità di debito nelle mani delle famiglie italiane. E ovviamente sottrarlo agli animi volubili degli investitori stranieri, in nome di un dichiarato patriottismo fiscale. 

Innanzitutto, l’esecutivo può ritenersi abbastanza soddisfatto: il Tesoro ha raccolto quasi 10 miliardi di euro, di cui 8 miliardi e mezzo sottoscritti dai piccoli investitori tramite i propri conti bancari o gli uffici postali. Nel complesso non il miglior risultato degli ultimi anni, basti pensare che lo scorso novembre erano stati collocati 12 miliardi. Ma un’ottima risposta da parte dei risparmiatori retail, che avevano un corridoio preferenziale rispetto agli investitori istituzionali. 

La semplicità del Btp Italia è certamente la prima ragione della sua riuscita: erano sufficienti infatti cinque minuti contati per collegarsi al portale home banking della propria banca e comprare i titoli di stato. La seconda ragione è lo schermo contro il carovita: il Btp Italia restituisce al suo detentore, con il pagamento delle cedole, la perdita di potere d’acquisto realizzata ogni sei mesi. Certo, perché sia davvero vantaggioso rispetto ai Btp tradizionali bisogna immaginare che il tasso di inflazione resti sui livelli già elevati di oggi. Uno scenario assai improbabile a detta degli analisti: forse anche per questo l’accoglienza degli investitori istituzionali è stata tiepida, malgrado un rendimento ghiotto e più costoso per lo stato dei classici buoni del tesoro. 

A ogni buon conto, ai piccoli risparmiatori il titolo è piaciuto. E quale miglior incoraggiamento per il governo Meloni a perseguire la strada del sovranismo finanziario. Una strada che strizza l’occhio al Giappone, dove il debito pubblico è il 263 per cento del Prodotto interno lordo e viene praticamente tramandato: solo un decimo è detenuto all’estero. Nonostante l’entità, i mercati hanno mostrato per due decenni un’incrollabile fiducia nella capacità del governo giapponese di onorare questo debito monstre. E allora, è il ragionamento della presidente del Consiglio, «per mettere al sicuro il nostro debito da nuovi shock finanziari» meglio tenerlo nelle tasche degli italiani. 

L’esecutivo sembra confidare nel senso di patria dei cittadini: in caso di scossoni finanziari gli italiani sarebbero più fedeli ai titoli di stato nazionali rispetto agli investitori stranieri, che hanno tipicamente meno scrupoli a liberarsi del debito nostrano se il mercato lo considera troppo rischioso. Vale lo stesso per futuri bracci di ferro con la Commissione europea sulle politiche fiscali, scontri da cui i cittadini in possesso dei Btp Italia non si farebbero intimidire. Un’idea piuttosto romantica della gestione dei risparmi, oltre che poco lusinghiera del buonsenso degli italiani: «Sarebbe come dire che non si rendono conto di ciò che acquistano» commenta a Linkiesta Lorenzo Codogno, fondatore della società di consulenza LC Macro Advisors ed ex capo economista del ministero delle Finanze, «è vero però che i piccoli risparmiatori sono investitori più stabili, non comprano o vendono in modo aggressivo. E questo per il Tesoro è un vantaggio». 

D’altro canto, per il Tesoro è un vantaggio anche allargare quanto più possibile la domanda di titoli di stato, a prescindere dal luogo di residenza degli investitori: «Aumentare la quota di stranieri non va a scapito degli italiani» sostiene Codogno, «maggiore è la domanda, più i tassi di interesse scendono, meno lo stato deve pagare il servizio del debito ai creditori». Bene dunque per i conti pubblici allargare la platea degli italiani; meglio ancora allargare la platea in generale, con buona pace del patriottismo. 

Peraltro la quantità di debito pubblico in mano agli investitori esteri non è così elevata: secondo l’Eurostat l’Italia è quartultima nell’Unione europea, con una quota del 29 per cento. Francia e Germania, per fare un paragone, detengono all’estero rispettivamente il 46 e il 42 per cento. 

C’è un ulteriore beneficio nella diversificazione della domanda: la presenza di investitori stranieri può rappresentare un termometro dell’adeguatezza dei conti pubblici. Un fattore disciplina, insomma, che manca quando l’allocazione è tutta domestica. «Gli investitori esteri fanno previsioni sull’andamento delle economie, lanciano messaggi quando lo ritengono opportuno: avere un buon dialogo con loro è essenziale e aiuta a mantenere il bilancio in ordine» commenta ancora Codogno. Un governo farebbe quindi meglio a pensarci due volte prima di sottrarsi al giudizio dei mercati, specialmente quando il debito pubblico è elevato come il nostro. 

Ma l’intento del governo Meloni sembra granitico, tanto che si parla già di un nuovo titolo in via di formazione: il Btp “tricolore”, o almeno questo è il nome che circola. E tricolore sarebbe anche il profilo dei destinatari: cittadini che risiedono o lavorano nel paese, una clausola non presente invece nei Btp Italia. Sul disegno dell’esecutivo si sa ancora poco: un rendimento attraente, un accesso ultrasemplificato e ancora una volta i risparmiatori singoli come obiettivo. E potenziali vantaggi fiscali. Difficile immaginare quali, dato che i titoli di stato godono già di una tassazione al 12,5 per cento, molto più bassa rispetto agli altri strumenti finanziari. Ancora più difficile convincere l’Europa a sostenere l’idea della residenza in Italia, che sarebbe in violazione del principio di uguaglianza tra cittadini europei e di quello sulla libera circolazione dei capitali. Ma tant’è. Blindare il debito pubblico in mani italiane serve anche a questo: dipendere meno da Bruxelles.

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