Pulejo a Roma, prezzi, menu e come si mangia. Fare paragoni tra i ristoranti è sempre pericoloso, e a rischio gelosie e rimostranze, ma crediamo di non fare un torto a Pulejo se diciamo che entrando e mangiando ci è venuto in mente Zia, il ristorante di Trastevere di Antonio Ziantoni e Ida Proietti. Se non altro perché, dopo una nostra visita di grande soddisfazione, arrivò la stella Michelin. Chissà che non possa essere questo anche il futuro di questo ristorante che, del resto, porta il nome, e la firma in cucina, di un altro chef stellato, Davide Pulejo, che era alla guida della cucina dell’Alchimia di Milano.
Pulejo a Roma
Pulejo ha un lungo curriculum, che lo ha visto protagonista in alcuni ristoranti prestigiosi: Il Convivio di Roma con Angelo Troiani, Texture di Londra, Noma di Copenaghen e Pipero a Roma con Luciano Monosilio. Da sette mesi ha aperto questo ristorante tutto suo, di cui vi abbiamo dato conto qui. E a distanza di così poco tempo dall’apertura, possiamo dire che tutto sembra funzionare alla perfezione: la cucina, di grande qualità, il servizio, preciso e discreto, l’ambiente, rilassante e elegantemente confortevole.
Il locale, oltre a un ingresso a salottino, è diviso sostanzialmente in due ambienti, con pareti crema e intermezzi verdi sotto grandi colonne, quadri moderni dai colori molto intensi, poltroncine Berto comode e applique eleganti alle pareti. Tavoli di legno ben distanziati, con una piccola lampada e un mazzo di fiori e il parquet sullo sfondo.
Come troppo spesso avviene nei locali negli ultimi anni, anche qui abbiamo una sorta di conduttura con tubi (per fortuna bianchi e non d’alluminio) che sovrastano le sale e le percorrono, per dare un’idea post-industrial e newyorchese (è ora di dire basta).
Nelle sale ci sono complessivamente 11 tavoli e 30 coperti.
I prezzi sono alti, come si conviene a ristoranti come questo, che sono di fine dining, quindi sopra la fascia media dei prezzi e della qualità. Ci sono due menu degustazione: uno da 5 portate per 70 euro, uno da 7 per 90 euro. Gli antipasti sono sui 22-23 euro, i primi dai 27 ai 30, i secondi da 30 a 35, i dolci da 20 a 24 euro. Menu corto con quattro piatti per ogni portata. Nota dolente per le bevande, dai prezzi decisamente sproporzionati: un caffè costa 4 ma soprattutto una bottiglia d’acqua si porta via 5 euro.
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La qualità è però eccellente. Si comincia con una pagnotta calda che va via in un attimo perché viene servita con burro d’alpeggio salato, morbidissimo. Viene voglia di pucciarlo con le dita, tanto è buono. A seguire, come amuse bouche, un soffice Bao sovrastato da una foglia di spinaci e un’aringa.
Ma eccoci alle portate. Questo è il “Peperone come manzo“. Nel senso che alla vista e anche per la tessitura, ricorda da vicino una tartare. I peperoni vengono cotti e ossidati all’aria per una decina di giorni. Poi macinati come fossero carne e conditi con gli ingredienti di una tartare, quindi con tuorlo d’uovo, capperi, senape e limone. E ricoperti di parmigiano. Well done.
A seguire proviamo il raviolo, pomodoro arrosto, crema di latte al midollo, battuto di manzo e basilico. Un primo delicatissimo, in miracoloso equilibrio di acidità e morbidezza.
Questo risotto si chiama Mi-Ro ed è il frutto del pendolarismo Milano-Roma dello chef, che ha imparato alla perfezione a cuocere e mantecare un risotto alla milanese con lo zafferano ma ha pensato (benissimo) di aggiungere al centro, come una corona, un tubetto di coda alla vaccinara e polvere di cacao. Piatto già in carta all’Alchimia, che resta perfetto.
Tra i secondi abbiamo scelto la faraona per la quale si evoca il nome di Marco Gavio Apicio, autore dello storico De Coquinaria, passato alla storia come gastronomo e amante del lusso in cucina, tanto che si narra che morì suicida quando s’accorse che il suo patrimonio, ridotto a soli dieci milioni di sesterzi, non gli avrebbe più consentito il tenore di vita a cui era stato abituato. La faraona qui è cucinata allo stile di Apicio, con “il garum“, ci spiega il personale di sala. Speriamo di no, perché il garum in origine era una salsa nauseabonda, sorta di colatura di pesce marcio (come la definiva Plinio il Vecchio). In questo caso, invece, la faraona è splendidamente condita, anche se in questo caso le misure non sono troppo abbondanti (meno degli altri piatti, che invece avevano un giusto equilibrio).
E il vino? La carta dei vini ha un suo perché, anche se ci si aspettava qualcosina in più, in termini di varietà e qualità. C’è una breve lista di sette bianchi laziali (Cotarella, Mottura, Le Rose), poi ci sono alcuni nomi interessanti (Vigneti Massa, Podere Pradarolo, Vadiaperti, Podere Pradarolo) e qualche mostro sacro (Gravner, Emidio Pepe, Gaja). Sia bianchi sia rossi partono da un entry level da 28 euro. Noi scegliamo un buon Rosso di Cascina Ebreo, la cantina anarchica messa in piedi a Novello da due svizzeri. E il suo rosso ci porta dritti sereni a fine pasto, con gli splendidi petits fours in omaggio, in un ristorante destinato ad avere un solido futuro a Roma.
Pulejo ristorante Roma – via dei Gracchi, 31-33 – 068 595 6532 – Sito