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Intervista a Luciano Violante: “Se il Pd non cambia non serve più” – Il Riformista

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Il futuro dei dem

Umberto De Giovannangeli — 20 Gennaio 2023

Intervista a Luciano Violante: “Se il Pd non cambia non serve più”

Ha diviso la sua lunga e importante vita pubblica tra magistratura, università e politica. È stato presidente della Camera dei deputati dal maggio 1996 al maggio 2001, e prim’ancora presidente della commissione parlamentare Antimafia. Abbiamo intervistato Luciano Violante, sul “nuovo PD” e non solo.

Un Paese segnato da crescenti diseguaglianze sociali. Un Paese che s’interroga su legalità e sicurezza, anche alla luce dell’arresto di Matteo Messina Denaro. Eppure, il dibattito congressuale del Partito democratico sembra lontano anni luce da queste problematiche. Presidente Violante, si è consumata una “rottura sentimentale” tra la sinistra e il Paese reale?

Per qualunque partito il congresso è una fase prevalentemente interna; la discussione dovrebbe essere incentrata non sulla rassegna dei mali del Paese, ampiamente noti, ma sul ruolo che il PD vuole assumere in questa particolare fase della storia d’Italia, su che cosa vuole che l’Italia diventi, senza usare frasi fatte. Faccio un esempio: mancano circa un milione e mezzo di esperti nelle nuove tecnologie; cosa propone di fare il PD? Come pensa si debbano aiutare le famiglie e i giovani per orientarli verso studi che siano umanamente soddisfacenti, diano occupazione sicura e salari adeguati? Quali sono le virtù del Paese sulle quali far leva, per correggere i vizi? La rottura sentimentale tra PD e fasce deboli c’è. Si tratta di un fatto grave perché le fasce deboli sono quelle che hanno più bisogno della politica.

Il “nuovo PD”, tra suggestioni di rifondazione e vecchie ritualità. La fase costituente sembra sempre più appiattirsi sulla corsa alla segreteria, con i vari maggiorenti dem impegnati nel posizionamento su questo o quel candidato a segretario. Il “nuovo” PD nasce già vecchio?

Non anticiperei le esequie. A mio avviso il PD sta scontando il difetto di quei gruppi dirigenti che hanno ritenuto di mobilitare l’elettorato portandolo a continue elezioni interne, primarie, gazebi etc invece di portarlo riflettere sulle grandi questioni politiche e sociali. In ogni caso spero che dopo si riprenda fare politiche, non a fare primarie.

Una delle parole più usate e abusate nel dibattito a sinistra, è “identità”. Ma se non viene sostanziata, resta una parola vuota, appesa, priva di reale significanza politica. Provi lei a declinarla.

Una forza di sinistra non convive con la realtà; cerca di trasformarla agendo come forza di civilizzazione. Intendo riferirmi alla capacità di innescare nella realtà, rendendoli operanti, valori di eguaglianza, di giustizia sociale, di libertà, di crescita culturale e civile.

Una delle questioni di stringente attualità è quella della giustizia. Si è molto polemizzato sulle considerazioni del Ministro della Giustizia, Nordio, sulle intercettazioni telefoniche, ed è anche bufera sulle candidature laiche al Csm. Lei come la vede?

Il Ministro Nordio ha precisato che non proporrà di toccare o le intercettazioni relative alla mafia e al terrorismo. Per il resto il problema è nel “giornalismo di riporto” che grazie ai rapporti privilegiati con settori dell’amministrazione della giustizia riesce ad ottenere e a pubblicare intercettazioni che a volte non hanno alcuna rilevanza penale ma suscitano curiosità sulla vita privata delle persone, ledendo gravemente e ingiustamente la loro reputazione.

Presidente Violante, le ultime elezioni hanno registrato il record di astensionismo nella storia della Repubblica. C’è una crisi di rappresentanza che rischia di minare l’intero sistema democratico. Eppure la politica sembra far finta di nulla.

I partiti erano formazioni della società sino a tutti gli anni Settanta. Dopo il compromesso storico, si sono progressivamente allontanati dalla società, si sono statalizzati e sono diventati articolazioni del potere pubblico. Ora dovrebbero tornare ad essere articolazioni della società.

Un tempo, la sinistra era il riferimento degli operai, dei ceti più deboli. Oggi non è più così. Ma una sinistra che non sta dalla parte dei più deboli merita di considerarsi ed essere ancora considerata “sinistra”?

Secondo i parametri classici una forza democratica di sinistra non si limita a convivere con l’esistente, ma si impegna a trasformarlo con le regole della democrazia. Per alcuni anni il PD ha dato l’impressione di essersi adagiato sull’esistente. Se non cambia, rischia di trasformarsi in un nobile partito di opinione, un educato cagnolino da salotto. Ma questo non serve all’Italia.

Molto si discute sui caratteri politici e identitari della destra che oggi governa l’Italia. Fioccano le definizioni. Qual è la sua?

Ci sono tre destre; quella “della terra e dei confini” dell’attuale Lega, quella del paleoliberismo mercatista di Forza Italia e quella del neoconservatorismo democratico del gruppo dirigente di Fratelli d’Italia.

Una lettura consolatoria, a sinistra, è che la destra vince perché parla alla “pancia” del Paese. Ma non è che in questi anni la destra ha saputo costruire, per dirla con Gramsci, una egemonia culturale?

La destra ha saputo utilizzare al meglio la legge elettorale; se si calcolano le forze non-di-destra e gli astenuti la destra è minoranza nel Paese; è certamente maggioranza in Parlamento e questo le consente di governare. La sinistra deve porsi il problema di come riacquisire il consenso di quel suo elettorato che non è andato a votare. Se non ha votato per altri è ancora recuperabile. Ma serve un pensiero non uno slogan. Per questo richiamerei Gramsci.

Oggi tutti, perfino Salvini, si definiscono “europeisti”. Vale quanto detto in precedenza per l’identità. Un europeismo non sostanziato, è una foglia di fico dietro alla quale si può nascondere di tutto.

Vedremo come si comporteranno i leader dei partiti di destra al governo in Europa , quando nel Consiglio dovranno decidere sulla risoluzione anti Orban del Parlamento Europeo.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.

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