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Gridi d’allarme | Basta Italia, pietà – Linkiesta.it

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Tutti sembrano essere in Italia, quest’anno. O almeno così ci racconta Eater. Almeno la metà delle persone sul feed Instagram della giornalista Bettina Makalintal è nel nostro Paese, e lei ne soffre. Tra “Stanley Tucci: Alla ricerca dell’Italia”, episodi di “Chef’s Table”, “Somebody Feed Phil”, “Top Chef” e “Salt Fat Acid Heat”, Makalintal non può fare a meno di sentirsi frustrata per questa predominanza italiana nella narrazione americana. Ora, pur apprezzando la retorica della scena dedicata agli spaghetti in “Eat, Pray, Love”, la giornalista pensa che tutto inizi a sembrare decisamente ripetitivo. Ma se l’Italia tira, e le reti vedono nell’amplificare le trasmissioni sul nostro Paese un sicuro successo, perché dovrebbero smettere? A noi fa solo comodo che i grandi broadcast americani si siano dimenticati che ci sono altri paesi su cui fare narrativa gastronomica e di viaggio.

«Tra Bobby e Giada in ItaliaStanley Tucci: Alla ricerca dell’Italia; episodi di Chef’s Table sulla pizza, Somebody Feed PhilTop Chef e Salt Fat Acid Heat, non posso fare a meno di sentirmi un po’ fuori dall’Italia» scrive la Makalintal. Che continua: «Negli ultimi anni è come se avessi raggiunto il mio limite di guardare fotogrammi di produzione del formaggio o persone che mangiano pizza napoletana perfettamente lievitata. Per non parlare del predominio dell’Italia nei programmi non dedicati al cibo, come From Scratch di Netflix o di The White Lotus a tema ospitalità della HBO. Tutto comincia a sembrare ripetitivo, soprattutto se si considera quanto raramente questo livello di approfondimento sia riservato ad altri paesi. L’Italia e la Francia, del resto, sono paesi e cucine la cui regionalità e varietà è ormai assodata nel panorama gastronomico degli Stati Uniti, mentre tanti luoghi nel mondo rimangono semplificati nell’immaginario culinario: per gli altri Paesi ci si limita a una visita rapida, in un episodio, concentrata quasi sempre sulle stesse città e limitata agli chef con i nomi più rinomati».

È come se le grandi reti americane, alla ricerca di un successo assicurato, vedessero il potenziale di tutta questa TV incentrata sull’Italia e pensassero, bene, facciamolo di nuovo. La CNN ne è un perfetto esempio: lo show italiano di Roman con la Costiera Amalfitana, ma anche la continuazione di Tucci’s, che esplora nuove regioni italiane dopo essere stato in Toscana, Napoli, Costiera Amalfitana, Roma, Bologna, Milano e Sicilia l’anno scorso.

Prosegue la giornalista: «Sembra tutto un po’ troppo fatto per andare sul sicuro: mostrare ai potenziali viaggiatori degli Stati Uniti cibo che è già abbastanza familiare, in un Paese che sembra una scommessa sicura, rafforzando così le aspettative occidentali su quali cucine sono preziose e in quali paesi vale la pena viaggiare senza sorprese. Sono felice di immaginare momenti in spiaggia italiani come The Talented Mr. Ripley , ma quali altri sogni ad occhi aperti potremmo avere se gli spettacoli di viaggi gastronomici osassero approfondire luoghi rappresentati meno frequentemente?»

⁠A noi, francamente, che i media americani esplorino altri Paesi non importa: e ci godiamo questo posto al sole che tanto faticosamente abbiamo guadagnato nelle menti e nell’immaginario collettivo americano. Però, però, se una cosa possiamo dirla: è realistica l’immagine di noi che queste trasmissioni danno all’estero? Se avete visto una sola puntata di Tucci o la recente versione pizza di Chef’s table concorderete con noi che così non è. Quell’Italia rappresentata nei format americani, che poi è la stessa Italia che vediamo fotografata sui giornali d’Oltreoceano è lontana anni luce dalla nostra vita quotidiana. È edulcorata, è antica, è legata a tanti stereotipi che non ci rappresentano più, se mai ci avessero rappresentato in passato. È una visione americana di noi. E sapete perché? Perché noi non siamo mai stati bravi a raccontarci come fanno “loro”, gli altri, quelli che vengono qui in vacanza e ci guardano con occhi nuovi. ⁠

È esattamente la stessa retorica della bellezza che proviamo noi quando viaggiamo nel nostro Paese, lontani dalle nostre città d’origine: vediamo solo i lati belli, ci stupiamo delle differenze, apprezziamo cose che – se fossimo a casa – detesteremmo. Eppure, forse è proprio quello il segno del viaggio: cambiare prospettiva e vedere il mondo con gli occhi foderati di fette di prosciutto. E se è di Parma, meglio.

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