A volte una parola fa differenza macroscopica di concetto. E nel caso della nuova dizione Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare il succo è tutto qui. Sovranità e non sovranismo.
Il richiamo, evidente nella formulazione che ha mandato in pensione il Mipaaf – Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, è Oltralpe. Al Ministère de l’Agriculture et de la Souveraineté alimentaire francese.
Non una novità assoluta, quindi, ma che molti commentatori hanno letto come affermazione del sovranismo e per “brand extension” dell’autarchia. Un’interpretazione che avrebbe alla base la concezione politica della Destra applicata a forma e funzione. Nello stesso solco, o a conferma della tesi sovranista, oltre alla Sovranità Alimentare, c’è il ministero del Made in Italy (Imprese, ex Sviluppo Economico). E poi il Merito (Istruzione), la Natalità (Famiglia), il nuovo Sud e del Mare.
La prima considerazione riguarda proprio il tema lessicale. La costruzione di nuove definizioni è propria della cultura di Sinistra. Che spesso e volentieri un po’ di costruzioni mentali arzigogolate le ha fatte. Il Mipaaf è – era – proprio una di queste. La formulazione Agricoltura e Sovranità Alimentare è ben più diretta e rappresenta quasi uno scippo alla retorica della Sinistra. L’atteggiamento conservatore di cui il Ministro Lollobrigida è portatore fa guardare proprio a questo aspetto. Abbiamo qualcosa da difendere e conservare. La contrapposizione è sempre la stessa: quanto può essere innovativa, progressista, una definizione conservativa come Sovranità Alimentare?
E qui le interpretazioni lungo tutto l’arco costituzionale si sprecano. Dal completamente deprecato al completamente affascinato, le gradazioni ci sono tutte. Come i distinguo che escludono la battaglia del grano del ventennio alla domanda. O se ci sia collegamento con il Made in Italy del Ministero guidato da Adolfo Urso.
La Sovranità Alimentare in Francia
Lo sguardo rivolto alla fonte ispiratrice del nome, il Ministero voluto da Macron in Francia, ci nasconde un paio di cose. Innanzitutto il vigore nazionale della proposta dei cugini che l’avevano già espressa con un paio di premesse. Il riconoscimento della cucina francese come patrimonio universale immateriale dell’Unesco (nel 2010 come la Dieta Mediterranea). E poi Goût de/Good France nato nel 2015 da un’idea di Alain Ducasse in accordo con l’allora Ministro degli Esteri Laurent Fabius. Quanto sia forte il peso politico della gastronomia e dell’alimentare in Francia lo dice proprio la presentazione in pompa magna di Fabius. Che tra l’altro ha partecipato anche alla presentazione della Guida Michelin nello stesso anno, per esempio. Il Covid ha ovviamente rallentato le celebrazioni nel mondo in cui l’Italia ha amplificato il messaggio francese.
Nulla a confronto con i tavolini di concertazione nostrani buoni per mandare qualche comunicato stampa e nulla più. Quindi il neo ministro Francesco Lollobrigida avrà da fare per rendere concreto il messaggio di Sovranità Alimentare.
La definizione di sovranità alimentare del Forum di Nyéléni Europe
Senza volersi perdere nelle radici della nascita della definizione di Sovranità Alimentare, andiamo su quella del Forum di Nyéléni Europe ripresa da Alex Giordano in un post su Facebook. “La sovranità alimentare è il diritto dei popoli ad un cibo sano e culturalmente appropriato, prodotto attraverso metodi ecologici e sostenibili, nonché il diritto a definire i propri sistemi alimentari e modelli di agricoltura. La sovranità alimentare dà priorità all’economia e ai mercati locali e nazionali, privilegia l’agricoltura familiare, la pesca e l’allevamento tradizionali, così come la produzione, la distribuzione e il consumo di alimenti basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica”.
I paletti ideologici fanno leggere questa definizione in modo diametralmente opposto. Basta leggere la ricostruzione di Mimmo Perrotta, docente di Sociologia all’Università di Bergamo, a Repubblica per capire le ragioni dello scippo. “Il concetto di sovranità alimentare è stato coniato dal movimento della Via Campesina negli anni Novanta, ai tempi di Seattle, in opposizione alle politiche del Wto. Il suo obiettivo polemico è la liberalizzazione del commercio del cibo e lo strapotere delle grandi multinazionali dei semi e dei fertilizzanti, oltre che della grande distribuzione. (…) È stata la Lega di Salvini la prima ad appropriarsene in chiave nazionalistica, di difesa del made in Italy, quando invece rappresenta un’idea di fratellanza tra i popoli”.
Sovranità alimentare non deve essere autarchia
Giorgia Meloni e il risotto alla carbonara
È in questo punto che sovranità alimentare e sovranismo alimentare si incrociano. La difesa di interessi nazionali trasla il piano di ragionamento da uno sguardo ecumenico a uno protezionistico. E per questo il Made in Italy dell’altro ministero assume un peso maggiore.
È probabile che l’accezione sovranismo alimentare diventi negativa rispetto a quella di sovranità alimentare proprio nella differenza tra esclusione e inclusione.
Una strada impervia che porterebbe a, per me, un’assurda autarchia. Non mi aspetterei di vedere l’arco di alluminio di Adalberto Libera campeggiare sul Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare.
Ma non si può tacere che alcuni accordi in sede europea danneggino il comparto della produzione agricola italiana. Vengono in mente subito quote latte e la Pac, la politica agricola comune, in generale. Corro il rischio di fare di tutta l’erba un fascio, ma le prime dichiarazioni all’Ansa di Lollobrigida vanno in quella direzione. Repubblica, riprendendole, non a caso titola Agricoltura, Lollobrigida sfida la Ue sul made in Italy: “Più terra da coltivare e lotta ai falsi”.
Le dichiarazioni di intenti
Togliere il limite dei 200 mila ettari a riposo per coltivarne un altro milione con un piano strategico di coltivazione dei terreni. Autarchia o necessità di dipendere di meno dalle importazioni alimentari? “Abbiamo 1 milione di ettari coltivabili, non basta quello che ci mette a disposizione l’ Europa e quindi è necessaria una riforma della Pac che si liberi dall’ideologia intrinseca del Farm to Fork, perché la sensibilità ambientale è sentita anche in Italia che può dire di avere una delle agricolture da sempre più sostenibili”, spiega Lollobrigida.
Obiettivo, controllare i prezzi. “Per evitare che un litro di latte, che già prima della crisi costava al produttore 48 centesimi e gli veniva pagato 38 centesimi, si trovi alla vendita dettaglio tra 1 euro e trenta e i due euro”. E combattere il Nutriscore, il sistema a semaforo sugli alimenti, anche inalberando il vessillo della Dieta Mediterranea, patrimonio immateriale Unesco ma condiviso con altri Paesi. Fino ad arrivare all’italian sounding che riempie i carrelli della spesa all’estero di falso parmigiano e falsa mozzarella. “Il nostro obiettivo è tutelare l’economia agricola dalle aggressioni del mercato del falso rimettendo al centro il rapporto con il settore per proteggere la filiera e il concetto di cultura rurale”, ha dichiarato il Ministro della Sovranità Alimentare.
Cosa ci si aspetterebbe
Sul campo occorrerà vedere come queste dichiarazioni di intenti si tradurranno in azioni concrete. Che vuol dire stabilizzare i prezzi al consumo e rendere equa la retribuzione del lavoro agricolo. Sulle quantità disponibili, di latte e di grano per restare alle parole fin qui enunciate, si gioca un tempo della partita. Che non può avere valore autarchico perché il Made in Italy è tale se è venduto all’estero. Un semplice principio di reciprocità dice che sarebbe impossibile pretendere di vendere sui mercati esteri chiudendosi a riccio sulle importazioni. Alcune azioni, lessicali e di merito potrebbero rappresentare la strada lineare per spazzare via i punti deboli e fortificare l’agroalimentare italiano in una visione contemporanea della Sovranità Alimentare.
Pizza, grano, fiordilatte
Alcuni esempi. Non cedere alla retorica dei grani antichi e del 100% italiano. Grani autoctoni, ancor meglio nazionali, per alimentare la capacità di trasformazione tutta italiana della pasta in combinazione con le migliori qualità estere. Forse ci cade il mito del Kamut egiziano o del Senatore Cappelli coltivato nei giardini che invece è vincolato. Ma c’è il vantaggio della chiarezza anche in etichetta.
Via le denominazioni di comodo o mainstream di alici di Cetara o fiordilatte di Agerola se le alici arrivano dal Golfo di Guascogna o dallo Stretto di Sicilia e il latte è tedesco o polacco. All’unisono con denominazioni di garanzia sbiadite tipo Mozzarella STG che in realtà è fiordilatte (vaccino) e ingenera confusione con la Mozzarella (di Bufala Campana Dop). Se il lessico è importante lo è anche nelle definizione dei prodotti anche per valorizzare quelli effettivamente tipici e topici.
E si potrebbe continuare aiutando il Friulano (ex Tocai) o dando finalmente sostanza alla Pizza Napoletana STG con la costituzione di un consorzio di tutela effettivo (che l’Unesco protegge l’arte del pizzaiolo).
Insomma, la strada delle buone intenzioni va lastricata con un cemento sostenibile e duraturo. Durable, come dicono alla Michelin, che lo hanno esportato dai pneumatici ai ristoranti nella Guida che è più per l’Italia che dell’Italia. Ragionare dal punto di vista del nostro Paese, o della nostra Nazione, è una postura di interesse da far accogliere positivamente, non digerire, agli altri mercati. La capacità di convincere, anche con espressioni lessicali nuove, per qualità e lungimiranza deve diventare un prodotto Made in Italy. Altro che Britaly tutto spaghetti e pizza.
PS. Dimenticavo la parte più importante, ma è sottesa a tutto il discorso sovranità. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Articolo 1.