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Fisime gratis | Zerocalcare e Ricolfi hanno capito che se la sinistra cavilla sulle puttanate poi governa la destra – Linkiesta.it

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Grande è la pacificazione sotto il cielo se un sociologo settantenne notoriamente moderato con un pubblico conservatore, e un fumettista men che quarantenne centrosocialaro con un pubblico di ragazzini smaniosi, dicono non solo la stessa cosa, ma quasi con le stesse parole.

L’altroieri è uscito il nuovo libro di Luca Ricolfi, s’intitola “La mutazione”, e il sottotitolo è: “Come le idee di sinistra sono migrate a destra”. Ieri su Repubblica è uscita un’intervista a Zerocalcare, nome d’arte di Michele Rech, il disegnatore più amato da un’epoca che ha bisogno dei disegni per non stancarsi a leggere testi troppo lunghi. A domanda sull’ergastolo ostativo, Rech risponde: «La destra fa la destra. Il problema semmai è la sinistra».

(Almeno, credo abbia detto questo. La più eloquente polaroid dell’uso dei virgolettati nel giornalismo italiano riguarda sempre Zerocalcare, e proprio su Repubblica. Un paio di settimane fa le pagine locali lo avevano intervistato alla presentazione del suo libro a Palermo, e lui ha raccontato d’aver detto che no, non pensava ritornasse il fascismo, che gli pareva che le posizioni restassero neoliberiste e atlantiste, e che semmai le differenze erano sul piano sociale e dei diritti, il che non è una bella cosa, «ma non penso che mo per vent’anni non ci stanno le elezioni». Il che sulla pagina del quotidiano era diventato un dolente «Spero che in Italia ci siano di nuovo delle elezioni, almeno entro i prossimi vent’anni». D’altra parte la pretesa che fuori Roma qualcuno capisca quel che dice uno che ciancica romano è invero eccessiva).

Dunque la sinistra è diventata di destra, come dimostra ogni «e quindi il problema era» quotidiano. E quindi il problema era l’articolo determinativo maschile. E quindi il problema erano i rave. A elezioni appena vinte dalla Meloni, il format era di pertinenza delle cancellettiste che ci dicevano: e quindi il problema era che non si poteva più dire niente. Ecco, ci avete detto che esisteva la cancel culture, che l’ortodossia di sinistra era prescrittiva, e ora guardate: i fascisti al governo, puntesclamativo.

Eh sì, cocca di mamma, è proprio lì il nodo: se la sinistra si dedica sempre e solo a cavillare sulle puttanate, poi finisce così. Che gli elettori votano la destra, sperando che se devono sempre e solo sentir ragionare di puttanate almeno quella nel frattempo gli abbassi le tasse.

Del come la sinistra cavilli di puttanate, Ricolfi – che non è uno di noi che pretendiamo cogliate i riferimenti alla saggistica forestiera nonché ai nostri precedenti centocinque articoli sul tema – inserisce nel suo tomo un catalogo per principianti molto dettagliato: spiega tutto, dalla schwa all’intersezionalismo, dall’inclusività alla convinzione che la libertà d’espressione debba valere solo per i buoni.

Scrivendo duecentodieci articoli al mese su questo tema, e avendoci persino scritto un libro, le storie le sapevo già tutte, epperò rileggendo quella di Lufthansa mi sono illuminata d’una nuova consapevolezza. La storia è quella della linea aerea che smette, a bordo, di dire «signore e signori» perché vuol far sentire inclusi i non binari (cioè: coloro che non si sentono mammiferi e ai quali tuttavia la nostra società non fornisce cure psichiatriche). Ricolfi dice che Lufthansa preferisce dedicarsi a queste puttanate (la parola è sempre mia: lui non le chiama mai così perché è un signore di buone maniere) invece che darci sedili con più spazio per le gambe, cappelliere con più spazio per i bagagli, pasti migliori a bordo, e insomma tutto quello cui, da viaggiatrice, darei priorità rispetto all’essere chiamata con la desinenza giusta.

È solo in quel momento che m’illumina una consapevolezza (dopo anni che mi dedico al tema, non ci avevo mai pensato: forse sono scema). Certo che preferiscono chiamarmi con la desinenza giusta: è gratis. Ristrutturare gli aerei, o anche solo migliorare il catering, sarebbe parecchio costoso. Queste fisime, invece, sono gratis.

Sono scema ma non del tutto: l’aspetto economico non mi era completamente sfuggito. Mi era chiaro che le fisime identitariste partono dall’America perché sono una distrazione di massa: se gli americani li convinci che il problema siano la razza e il genere, magari non si accorgono di non avere il congedo di maternità retribuito, o una sanità abbordabile, o un numero decente di giorni di ferie. Se col gioco delle tre carte distogli la loro attenzione dall’assenza di diritti economici minimi, magari eviti di ritrovarteli per strada coi forconi.

Però non avevo mai pensato che, per un’azienda, chiamarmi – me cliente – con l’asterisco è una forma d’attenzione più conveniente che farmi lo sconto. Credo di aver già raccontato che Chris Rock, nel suo nuovo spettacolo, prende per il culo un’azienda che ha i cartelli in vetrina contro l’odio e il razzismo e la discriminazione, e vende pantaloni da yoga da cento dollari. Cito a memoria: credo di parlare a nome di tutta la platea dicendo che preferirei dei pantaloni razzisti da venti dollari. Cito ancora a memoria: c’è qualcuno che odiate, i poveri.

Dei poveri non frega niente a nessuno (tranne se sono fattorini di Glovo, unica categoria del cui disagio economico la politica si sia preoccupata negli ultimi anni, probabilmente perché i politici non volevano sentirsi in colpa se non avevano spicci per dare la mancia al ragazzo della pizza).

Dei poveri e della cultura, ciò che da che mondo è mondo dei poveri migliora le condizioni di vita (la cultura, o qualche Gianni Boncompagni o Maria De Filippi che metta su programmi tv che facciano da ascensore sociale: quelli però non li gestisce la politica, e infatti funzionano).

Ricolfi: «L’ideale egualitario non ha difensori, né a sinistra né a destra. L’idea della cultura come strumento di emancipazione dei ceti popolari è oggi un’idea orfana». Sospetto che dipenda anche dalla fine del conflitto generazionale, dal finto egualitarismo tra docenti e discenti.

Senza arrivare all’incredibile storia, raccontata dal New York Times, del professore di chimica organica licenziato perché dava voti troppo bassi e gli studenti somari hanno diritto di non sapere niente e avere voti sufficienti a laurearsi in medicina, basta guardare ai miei vegliardi coetanei italiani, difensori dei rave.

È perché abbiamo i figli che ci vanno, dicono. E mi torna in mente quello psichiatra che mi spiegò che l’identità di genere è il modo in cui si incanala il malessere adolescenziale che una volta diventava anoressia o eroina. Mi pare una spiegazione sensata; c’è però il piccolo problema che se digiunavi o ti facevi le pere i tuoi cercavano di farti smettere: facevano i genitori. Gli adulti di oggi fanno i coetanei dei figli, che figata il rave, che figata che vuoi riempirti di ormoni, che figata che possiamo evitare le responsabilità insieme. E che stronzo il prof che ti dà i voti bassi impedendoti di diventare medico senza sapere la differenza tra una vena e un’arteria.

Ricolfi parla di «capitale anagrafico» rispetto a qualcos’altro (se volete sapere a cosa, dovete leggere il suo libro), ma io vorrei arrubbarmi la definizione per chiedermi se siamo proprio sicuri che i giovani, in quanto tali, abbiano sempre ragione, e noialtri dobbiamo adeguarci e amare i fumetti e i rave e le parole con gli asterischi. Mi pare fosse Benedetto Croce a dire che i giovani hanno solo il dovere di invecchiare. Aggiornerei dicendo che quel dovere ce l’hanno pure (di più) gli adulti.

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