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Feste da Guinness | Carnevali senza limiti – Linkiesta.it

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Atto dovuto: partire da Venezia, il più antico d’Italia

Può tranquillamente essere definito anche come il più elegante o il più affascinante, ma si tratta di valutazioni in fondo soggettive, mentre l’indiscutibile primato di antichità è legato al fatto che la sua prima citazione in uno scritto veneziano risalga a un testo del doge Vitale Falier del 1094, mentre il primo documento pubblico ufficiale a farne menzione è un editto del 1296 con cui il Senato della Repubblica dichiarò festivo il giorno precedente la Quaresima.

Il Carnevale di Venezia è quello che tutto il mondo ci invidia, o al quale tutto il mondo cerca di assistere almeno una volta nella vita, e questo lo rende competitivo ai massimi livelli anche nella graduatoria dei più affollati.

Sono diverse le golosità tipiche veneziane che accompagnano con dolcezza la pioggia di stelle filanti e coriandoli della Serenissima: tra questi le fritole, o fritoe venexiane, frittelle talmente amate dal popolo che già nel 1600 venne costituita un’Associazione a numero chiuso di Fritoleri dediti alla tutela e trasmissione dell’arte friggitoria, i galani, versione veneziana delle chiacchiere, sottili nastri di pasta che si differenziano per forma e friabilità dai più spessi crostoli, e i mammalucchi (o mamelucchi), dolcetti fritti al profumo d’arancia dalla ricetta segretissima e che una leggenda – questa volta non vincitrice di record di originalità – vuole nati dall’errore di un pasticciere.

Carnevale di Fano, quasi il più antico ma di sicuro il più dolce

Come visto Venezia rimane imbattibile, ma secondo un documento conservato nell’archivio storico comunale di Fano qui i primi festeggiamenti carnevaleschi si sono tenuti nel 1347, dunque una tradizione di tutto rispetto, tanto che nello statuto cittadino promulgato dai Malatesta nel 1450 festeggiare prima dell’avvio della Quaresima viene addirittura definito “necessario”.

Oggi la città marchigiana ha deciso di puntare tutto sulla dolcezza, definendo il proprio come “il Carnevale più dolce d’Italia” a causa dell’incredibile quantità (una media di 180 quintali) di caramelle, cioccolatini e dolciumi gettati dai carri allegorici durante le sfilate per le vie cittadine.

Senza dover correre rischi per la propria incolumità sotto una tale pioggia di zuccheri in varie forme è comunque possibile godere della dolcezza marchigiana gustando il dolcetto tipico locale dal nome che, in pieno stile carnevalesco, può trarre in inganno: si tratta degli arancini, ovvero frittelle di pasta lievitata aromatizzate all’arancia dalla caratteristica forma di girandola. Diventano limoncini se aromatizzati al limone.

Il carnevale più lungo inizia con Babbo Natale ancora nei paraggi

Scendiamo lungo tutto l’Adriatico per arrivare in Puglia, al Carnevale di Putignano, probabilmente quello dai festeggiamenti più lunghi, dato che l’inizio è ufficialmente sancito il 26 dicembre con la Festa delle Propaggini. Le origini di questa tradizione risalgono al 1394, anno in cui i Cavalieri di Malta trasferirono le reliquie di Santo Stefano dall’abbazia di Monopoli alla chiesa di Santa Maria la Greca a Putignano, dove sono custodite tutt’oggi, per meglio proteggerle dai frequenti attacchi e razzie da parte dei Saraceni.

I contadini di Putignano, che in quel momento erano impegnati nell’innesto delle viti con la tecnica della propaggine (che consiste nel dar vita a nuove piante interrando i tralci senza reciderli dalla pianta madre), al passaggio dei Cavalieri abbandonarono i campi per accodarsi festanti al corteo, ballando e cantando per la gioia di avere in loco la protezione del Santo e improvvisando versi satirici in vernacolo. Questa tradizione si è mantenuta ancora oggi: in abiti da contadini e arnesi da lavoro gruppi di poeti dialettali ripercorrono l’anno appena trascorso nel corso di una divertente esibizione, recitando versi in rima riguardanti politici e personaggi noti della città.

Risale invece agli anni ’50 l’ideazione di una maschera tipica che accompagnasse i cortei dei festeggianti: si tratta di Farinella, una sorta di allegro giullare al quale è stato dato il nome di un alimento tipico locale realizzato macinando orzo e ceci tostati e accompagnando questa semplice ma sostanziosa farina con brodo, a mo’ di polentina, e prodotti locali come ortaggi, olio e fichi.

Ritorno alle origini: il carnevale più ancestrale

Ci spostiamo nel cuore della Sardegna, nella Barbagia, per un carnevale questa volta arcaico, primordiale, dove è più evidente la connessione con i riti legati al mito di Dioniso, la divinità greca che rappresenta l’energia e la forza vitale della natura.

A Mamoiada il 16 gennaio viene acceso un grande fuoco propiziatorio in onore di Sant’Antonio Abate, l’eremita che, novello Prometeo, secondo la leggenda rubò il fuoco agli inferi per donarlo agli uomini. Il giorno successivo, festa del Santo, la celebrazione ha ufficialmente inizio e l’evento più atteso è la sfilata di Mamuthones e Issohadores: i primi indossano maschere nere sul viso, hanno il corpo ricoperto da pelle di pecore e sulla schiena un gran numero di campanacci che suonano ritmicamente al loro lento incedere, i secondi, con maschere bianche e giacche rosse, si muovono più agilmente e animano la processione lanciando “sa soha”, una corda con la quale catturano prede fra il pubblico.

Su pistiddu, o sa cogone de pistiddu, una frolla ripiena di mosto cotto, è il dolce tipico dei festeggiamenti di Sant’Antonio Abate, mentre culurgiones de mendula o anzelottos (ravioli fritti ripieni di mandorle tritate e cotte nello sciroppo di zucchero o nel miele) e sas orulettas o urilettas (treccine dolci fritte) sono le golosità tipiche del periodo carnevalesco.

A Ivrea il più antico Carnevale Storico, con tanto di combattimento

Quello di Ivrea è un carnevale decisamente battagliero le cui radici risalgono al Medioevo. Per tre giorni nelle piazze cittadini si assiste (possibilmente a distanza di sicurezza, anche se indossare il rosso Berretto Frigio dovrebbe garantire immunità) alla spettacolare Battaglia delle Arance, una realistica rappresentazione di rivolta popolare dove squadre di aranceri a piedi e sui carri si colpiscono al suon di settemila quintali di arance, nella festa moderna misteriosamente sostitutive dei fagioli che in origine erano il vero oggetto dei lanci. Nessuno spreco di cibo però: si tratta di frutti provenienti da aziende calabresi e siciliane che operano nel circuito Libera, comunque non destinati al consumo umano e i cui resti vengono responsabilmente recuperati e trasformati in compost. Insomma delle arance resta solo un piacevole profumo.

La colossale Fagiuolata di Santhià

Chiudiamo questo giro d’Italia con quello che viene definito dalla proloco locale come «Un evento dalle dimensioni colossali» e le parole non sono scelte a caso: 20 quintali di fagioli qualità Saluggia, 150 caldaie di rame, oltre 20.000 razioni distribuite, più di 300 addetti sono le misure necessarie a gestire questo grandioso festeggiamento che caratterizza sin dai tempi più remoti il Carnevale di Santhià. La sacralità del procedimento è sancita dalle “sveglie” suonate fin dall’alba del lunedì grasso dal Corpo Pifferi e Tamburi per dare inizio alle operazioni di preparazione. La riuscita della manifestazione è legata alla stretta osservanza della ricetta tradizionale, realizzata con ingredienti semplici (fagioli, lardo, salami e poco altro) e tale da rendere il piatto facilmente replicabile mantenendone fedele il gusto.

La ricetta prevede dettagliatamente anche le modalità di distribuzione delle porzioni: al termine della cottura, «dopo la Benedizione del Prevosto e lo sparo di un fucile», i fagioli vengono ripartiti nella piazza del paese «nel seguente modo: un mestolo di fagioli, una porzione di salame, una pagnotta di pane, il tutto rigorosamente in recipienti di ogni fattura e dimensione, che la popolazione santhiatese si porta dalle rispettive abitazioni».

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