Dall’Accademia l’invito a liberarlo
Umberto De Giovannangeli — 8 Ottobre 2022
Non sempre quel Premio è andato a chi ne aveva merito. Stavolta sì. Il Nobel per la Pace è stato assegnato al dissidente bielorusso Ales Bialiatski, e alle organizzazioni Memorial e al Center for Civil Liberties in onore “dell’impegno in difesa dei diritti umani e del diritto di criticare il potere, di difesa dei diritti dei cittadini per i diritti dei cittadini e contro gli abusi di potere, per aver documentato crimini di guerra”, è stato annunciato dal Comitato per il Nobel a Oslo.
La presidente Chair Berit Reiss-Andersen nel suo annuncio ha spiegato: “Insieme dimostrano l’importanza della società civile per la pace e la democrazia”, aggiungendo che “i vincitori del premio Nobel per la Pace rappresentano la società civile nei loro paesi d’origine. Da molti anni promuovono il diritto di criticare il potere e tutelare i diritti fondamentali dei cittadini”. Bialiatski, 60 anni, è il fondatore del Viasna (Primavera) Human Rights Centre, un centro creato nel 1996 in risposta alla brutale repressione del dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko, oggi sostenitore e partner di Vladimir Putin nell’invasione dell’Ucraina.
L’attivista bielorusso è attualmente detenuto in attesa di processo nel proprio Paese. Il suo primo arresto risale al 2011, è stato arrestato di nuovo nel 2020 dopo le proteste di massa contro le elezioni truffa che hanno riconfermato al potere Lukashenko. “Ha dedicato la sua vita ai diritti umani e non ha ceduto di un millimetro nella sua battaglia”, afferma il comitato del Nobel, che ha apertamente invitato Minsk a liberarlo. La leader dell’opposizione bielorussa in esilio Svetlana Tikhanovskaja, su Twitter, ha definito il premio “un importante riconoscimento per tutti i bielorussi che lottano per la libertà e la democrazia”, e ha detto che “tutti i prigionieri politici devono essere rilasciati immediatamente”.
Memorial è una storica Ong per i diritti umani fondata in Russia nel 1987 da Andrei Sacharov (che vinse il premio Nobel per la Pace nel 1975) e da altri attivisti per i diritti umani, in concomitanza con la caduta dell’Unione Sovietica con l’obiettivo di documentare e testimoniare i delitti e gli abusi dell’era sovietica, in particolare del periodo stalinista. Negli anni successivi è diventata la più grande Ong della Russia in difesa dei diritti umani e dei prigionieri politici. La sede russa di Memorial è stata chiusa nell’aprile di quest’anno, dopo che il regime di Vladimir Putin ha ristretto la libertà di espressione delle Ong e dei media a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina.
Centro per le libertà civili è un centro studi e un’associazione ucraina con sede a Kiev, che prima della guerra lavorava per rafforzare lo stato di diritto in Ucraina. Dopo l’invasione da parte della Russia, si è impegnata nella documentazione dei crimini di guerra compiuti dall’esercito russo in Ucraina. “Mette i piedi nel piatto della guerra il trittico Premio di quest’anno. Arriva in Russia, Ucraina, Bielorussia, e lo fa con grande equilibrio e saggezza. Valorizza le voci non allineate di chi si è concretamente impegnato per la democrazia, per i diritti umani, per la giustizia – commenta Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento italiano – Il Center for Civil Liberties ucraino, il Memorial russo, e il bielorusso Ales Bialiatski, rappresentano bene quelle parti di società civile dei loro paesi che non accettano la logica della guerra. Il loro lavoro per i diritti umani, primo fra tutti il diritto alla pace, è la base su cui costruire oggi il comune futuro di convivenza in un’area che sta vivendo l’incubo nucleare”. Un Trittico che racconta come la Russia non sia soltanto lo zar del Cremlino, che la Bielorussia non s’identifica con l’autocrate da sempre al potere, Lukashenko. E che in Ucraina si possono difendere i diritti civili anche senza calzare l’elmetto.
Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.
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