Parlerà di persona ai capi di Stato e di governo dell’Ue. Dovrebbe incontrare in bilaterale il premier Meloni
Il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky sarà oggi a Bruxelles per la prima volta dall’inizio dell’invasione della Russia un anno fa, per parlare di persona ai capi di Stato e di governo dell’Ue, che si riuniscono per un Consiglio europeo straordinario focalizzato su temi economici e migratori. I dettagli della visita, che pochi confermano fuori taccuino ma che nessuno smentisce e che è stata confermata esplicitamente stasera dallo stesso presidente ucraino, non sono ancora chiari, ma si sa che probabilmente andrà anche al Parlamento europeo, per parlare agli eurodeputati, oltre che al Consiglio. A margine del summit, Zelensky – ieri mattina a Londra e la sera a Berlino dove ha visto Emmanuel Macron e Olaf Scholz – dovrebbe incontrare in bilaterale il presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
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Il summit inizierà in mattinata e non dovrebbe essere aperto, com’è tradizione, dal discorso della presidente del Parlamento Europeo, perché Roberta Metsola sarà impegnata in Aula. Probabilmente terrà il suo discorso ai leader nel seguito del vertice. Mentre non sono previste novità operative dal Consiglio di domani sulle forniture di armi all’Ucraina, è probabile (“è una cosa che ci si può aspettare”, dice un alto funzionario Ue), che Zelensky chieda ai leader di fornirgli aerei per aiutarlo a difendersi dalla Russia. I leader nelle conclusioni accoglieranno con favore i progressi fatti dall’Ucraina nelle riforme fatte nel quadro del processo di adesione all’Ue e mirano ad approvare un decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia entro il 24 febbraio, data di inizio dell’invasione russa.
Pacchetto che comprenderà ulteriori ‘listing’ di persone ed entità, oltre a nuovi divieti di esportazione verso la Russia. I capi di Stato e di governo ribadiranno il sostegno all’Ucraina, anche militare, e tratteranno il tema degli asset congelati alla Russia, con l’obiettivo di utilizzarli per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina. Non è una cosa semplice dal punto di vista giuridico, ma si pensa di gestire gli asset congelati (qualcosa come 300 mld di euro) in modo da utilizzare il rendimento ottenuto per aiutare Kiev. Sul tavolo anche il tema dell’accountability, cioè come fare in modo che la Russia paghi per quello che ha fatto in Ucraina.
I capi di Stato e di governo discuteranno anche di temi economici, in particolare di come far sì che l’Ue possa rispondere all’Inflation Reduction Act americano, che sussidia l’industria verde e che di conseguenza attira imprese, anche dall’Europa. Il presidente Joe Biden, spiega una fonte diplomatica europea, ha detto che non era questa “l’intenzione” degli Usa, ma “alcuni player americani hanno intenzioni molto chiare. Bisogna che a livello di decisori politici ci mettiamo d’accordo”. Il compromesso che sembra delinearsi a livello Ue è duplice, a breve termine.
Da un lato, si dà via libera ad una revisione del quadro regolatorio Ue in materia di aiuti di Stato, che avvantaggia gli Stati più forti, i quali potranno sussidiare più facilmente le proprie imprese in certi settori e per un tempo determinato (ma non breve: la Commissione ha proposto fino alla fine del 2025). Sono almeno una quindicina gli Stati membri che hanno chiesto di porre limiti, nel linguaggio delle conclusioni, alla portata della revisione del quadro e la stessa Commissione, avendo ben presenti i rischi, si è espressa in questo senso.
Dall’altro lato, visto che sul tavolo ci sono risorse tutt’altro che trascurabili non ancora spese, gli Stati dalle tasche meno profonde, come l’Italia, dovrebbero ottenere una maggiore flessibilità nell’uso degli strumenti esistenti. A medio-lungo termine, poi, il Consiglio europeo per ora “prende atto” dell’intenzione della Commissione di proporre la costituzione di un fondo sovrano europeo, che dovrebbe essere destinato a finanziare progetti di interesse comune Ue. Quel “prende atto”, “takes note”, potrebbe diventare un “welcomes”, cioè “accoglie con favore”, ma non è detto. Il riferimento ad una riedizione del modello Sure ad oggi è stato espunto dalle conclusioni, per la netta contrarietà degli Stati nordici, che prima di parlare di nuovi fondi vogliono che siano impiegati, possibilmente bene, quelli stanziati e non ancora spesi (e che alcuni Paesi hanno difficoltà a spendere).
In materia di migrazioni, poi, le posizioni diverse non mancano, ma tutti, o quasi, sono ormai d’accordo su un punto: gli arrivi irregolari devono calare, perché sono tornati su livelli troppo elevati. La linea italiana è quella tradizionale, con un minore focus sui ricollocamenti, come nella linea storica di Fratelli d’Italia: se fatti senza limite, diventano un ‘pull factor’, un fattore di attrazione. La posizione italiana, che evita la contrapposizione tra movimenti primari e movimenti secondari spiegando che sono legati (senza i primari non ci sono i secondari), trova la sintonia della Francia, che pure per motivi geografici ha esigenze un po’ diverse dalle nostre. Paesi come l’Austria, tra i promotori di questo Consiglio Europeo straordinario, premono perché si possano finanziare barriere ai confini esterni, in particolare tra Bulgaria e Turchia, con fondi Ue. La Commissione e alcuni Paesi, taluni dei quali robusti, si oppone.
Per una fonte diplomatica europea, premesso che non siamo in presenza di una “grande crisi migratoria”, si tratta di una questione “lessicale”, che può facilmente essere “depoliticizzata”, dato che un conto è un muro, un altro è, per esempio, un sistema di sorveglianza con telecamere, per esempio. Per un alto funzionario Ue, è chiaro che “rischiamo di avere questa discussione”, anche perché sul tema la Commissione ha una “posizione politica”, mentre le leggi Ue consentirebbero un finanziamento comunitario di strutture simili.
“Molti Stati membri lo chiedono – continua l’alto funzionario – per ora ci limitiamo a sottolineare la necessità di finanziare queste infrastrutture”. Per quanto riguarda l’Italia, avendo il Paese frontiere marittime che per loro natura non consentono di costruire muri né barriere fisiche, si punta a ottenere l’inserimento nelle conclusioni del riconoscimento esplicito della specificità della frontiera marittima, premessa per ottenere ulteriori risultati nei prossimi vertici, magari nella gestione ordinata delle operazioni di ricerca e soccorso in mare.
Un altro obiettivo, già ottenuto, è quello di avere nelle conclusioni il riconoscimento esplicito che, essendo la migrazione un problema europeo, necessita di soluzioni europee. Sembra un’ovvietà, ma non lo è: fino a poco tempo fa, spiega un diplomatico europeo, non appena si iniziava a discutere di dimensione interna delle migrazioni, si formavano immediatamente “tre gruppi di Paesi”: quelli di primo arrivo, quelli di destinazione e i Paesi dell’est, che dicevano che non si trattava di un loro problema. L’uso dei migranti come arma contro l’Ue fatto dalla Bielorussia nel 2021 alle frontiere polacche e lituane ha cambiato le cose, facendo comprendere che la migrazione è un problema europeo, e come tale va trattato. L’approccio della presidenza francese, di spacchettare il patto sulla migrazione e l’asilo e di affrontarlo “passo per passo”, ha consentito di fare progressi, tanto che l’obiettivo esplicito è di chiudere il nuovo patto sulle migrazioni entro i primi mesi del 2024.
All’Italia interessa anche la partnership con i Paesi africani di origine e di transito dei migranti, utilizzando come leva sia i fondi disponibili, che non sono pochi, sia la politica dei visti, le preferenze commerciali, le partnership in materia di istruzione eccetera. Non in tutti i casi, ma, spiega un diplomatico europeo, capita di avere a che fare con Paesi che “non collaborano”, in particolare sui rimpatri, che si intende aumentare ed ‘europeizzare’, ove utile, anche usando Frontex. In questi casi, un uso ‘dosato’ delle leve di cui sopra può aiutare a convincere alcune capitali a collaborare, anche su un dossier politicamente scomodo come i rimpatri, tutt’altro popolari in quegli elettorati. Il riferimento ai ricollocamenti volontari è uscito dalle conclusioni (anche perché numericamente gli schemi messi in piedi avevano dato risultati trascurabili, anche se un diplomatico europeo dice che sono meccanismi “progressivi”, che partono piano e poi accelerano), a fronte di un simmetrico ammorbidimento su movimenti secondari e ‘dublinanti’.
Non sono previsti, allo stato, bilaterali formali tra il presidente francese Emmanuel Macron e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che comunque probabilmente si parleranno in qualche modo. Ma un vero incontro bilaterale viene escluso da una fonte diplomatica europea: “Non sono cose che succedono per caso”, taglia corto. I dettagli logistici del summit non sono ancora noti: fino a stamani l’obiettivo sembrava essere quello di comprimere tutte le discussioni in una giornata, finendo a notte. Nella lettera di invito ai capi di Stato e di governo, diffusa solo questa sera, il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel parla di un summit il 9 e 10 febbraio, quindi su due giorni. L’inizio è comunque fissato per domattina alle 10.