“Vera cucina giapponese”, è con questa affermazione che Sushisen si è imposto sulla scena romana da diciotto anni a questa parte. È rimasto fuori dai trend e dalle mode, mentre aprivano ramen bar, gyoza bar, doaryaki bar un po’ in tutta la capitale. Ha resistito all’onda anomala degli all-you-can-eat, al Covid, alla riconversione più o meno riuscita di cucine asiatiche di altre provenienze che in fondo, invece di rappresentare una minaccia, forse l’hanno spinto più nettamente fuori dal mucchio. E ora ha la nuova freccia della cucina giapponese kaiseki
I due volti di Sushisen
Oggi Sushisen è tra i pochi ristoranti giapponesi con due format. Uno più snello nella sala kaitenzushi, il nastro che trasporta lento piattini colorati lungo lungo un bancone dove ci si può scapricciare a volontà di nigiri, maki, sushi, sashimi e compagnia.
Si desidera ciò che si vede, argomentava Hannibal Lechter nel silenzio degli Innocenti, e forme e colori rappresentano una tentazione aggraziata cui è difficile resistere. Guarda, prendi e gusta, il trinomio vincente in formula Kaiten.
L’altro più formale, in una sala protetta da pannelli scorrevoli in legno e carta di riso. Ci hanno invitato ad assaggiare il nuovo menu in stile kaiseki, che compie un ulteriore passo verso il fine dining.
Kunihiro Giuliano Este ha aperto Sushisen insieme a sua madre Okochi Chikako dopo una lunga esperienza presso Yoshikawaya, tra i ryokan (hotel tipico giapponese) più noti, nonché una delle residenze estive dell’imperatore.
E a questo si ispira per la ricercatezza discreta degli ambienti, la cura nella mise en place con le sete dell’Obi, le cinture dei kimono tradizionali.
Nei dettagli preziosi delle bacchette e della posateria. Nei bicchieri Sugahara fatti a mano, nelle ceramiche dei piatti e delle brocche, disegnate appositamente per ogni tipo di contenuto.
La cucina giapponese tra seta e oro
La forma come elemento complementare e imprescindibile dalla sostanza, perché l’alchimia generi l’esperienza.
Lo stesso principio ispira tutta la cucina giapponese kaiseki, l’espressione più raffinata e ricercata, destinata ai palati esigenti e alle persone di riguardo.
E’ il concetto di gourmet all’ombra del Fujiyama, ne segue le stesse leggi. Conoscenza della materia prima, qualità, creatività, estro, mano contemporanea e radici nella tradizione.
Al comando di una brigata di 12 persone tra cucina e kaiten c’è – da sempre –Yamamoto Eiji. Che una sola “s” separa dal più noto Seiji (Yamamoto), 3 stelle Michelin al Nihonryori Ryugin di Tokyo, come ama raccontare Kunihiro Giuliano Este.
L’Eiji de Roma non ha la stella, ma un bel disco rosso esposto all’ingresso del ristorante sì. Infatti Sushisen è uno dei due ristoranti giapponesi consigliato dalla Guida Michelin su Roma.
Quanto costa la cucina giapponese kaiseki di Sushisen
Yamamoto Eiji è di Hokkaido, e nonostante abbia avuto esperienze in Canada e Australia, prima di approdare alla guida della cucina di Sushisen, è alla regione d’origine che si ispirano i suoi piatti, una cucina giapponese tradizionale tra le più varie e complete del paese.
Affidarsi a lui non è stato per niente difficile, anzi. La sua è una “cucina del meno”, che va a cercare l’essenza dell’ingrediente nel rispetto del principio dei tre colori, che devono essere presenti in ogni piatto per creare l’armonia alla vista come al palato.
Il menu degustazione Omasake, 8 portate a 78 €, regala un viaggio tra i sapori dell’autentica cucina giapponese kaiseki, con un taglio attuale e godibile.
Si ritrovano i sapori familiari della cucina giapponese più quotidiana, alghe, yuzu, soya, miso, però insieme a spezie, aromi e condimenti che Kunihiro Giuliano va ad acquistare personalmente in Giappone, nei luoghi di produzione. Che svecchiano e nello stesso tempo donano nuova grinta anche a proposte semplici.
Come si mangia
Come le alghe fritte di benvenuto, che qui diventano una sfoglia croccante e lucida, condita con sesamo e una miscela di spezie. La presentazione fa la sua parte, ma questo velo fragile e intenso che sprigiona il sapore del mare fa decisamente colpo.
La polpettina – sono convinta che la cucina giapponese kaiseki abbia un debole per tutto ciò che è racchiudibile dentro qualcos’altro – vede pesce bianco e mazzancolle dialogare felicemente con cubetti di daikon e fiore di loto, botta e risposta di morbidezze e consistenze, dolcezze e sapidità.
Ultimo antipasto, il Nido d’amAre, ovvero uovo con capesante (di Hokkaido) e uova di salmone in marinatura al prosecco Foss Maraj aromatizzato al passion fruit e ricci di mare.
Si tuffa il cucchiaino come per un uovo alla coque, e il boccone viene su in una stratificazione visiva e gustativa molto divertente.
Le spezie nella cucina giapponese
Con la tartare di tonno del Mediterraneo – i migliori del mondo, secondo Kunihiro Giuliano – arriva una prima sorpresa, per la semplicità e nello stesso tempo la caratterizzazione del piatto. Qualità indiscutibile del tonno, ma soprattutto un condimento che ne esalta freschezza e umori in bocca.
Si tratta di Jyumi una speciale miscela di 10 spezie che viene prodotta in quantità limitata in una remota provincia del Giappone, e che Kunihiro Giuliano acquista personalmente sul posto.
La guarnizione è una riduzione di latte di soia che non ha nulla a che vedere con le qualità commerciali cui siamo abituati. Insomma, è un piatto sorprendente, a prova di scettico.
Anche la spigola, dalle mani di Yamamoto Eiji acquista una dimensione in più. Consueta cottura a bassa temperatura, poi rapida spadellata per conferire croccantezza alla parte esterna, ma viene servita con un particolare pesto di shiso e aglio, noci, misticanza, patate dolci e broccolo alla brace.
Piatto dai sapori stratificati, consistenze multiple e molto gratificante. La misticanza regala note limonate, combinate con la dolcezza del pesce, e la componente speziata del pesto e fumé del broccolo restano perfettamente distinguibili in un contrappunto armonico.
Il sushi secondo Sushisen
Nella cucina giapponese il sushi è qualcosa che si mangia nelle grandi occasioni. Nel nostro caso di assaggio di cucina giapponese kaiseki arriva alla fine. Come d’altronde il riso bianco, ci spiega Kunihiro Giuliano, che serviva a saziarsi nel caso, terminate le portate, si avesse ancora fame.
Il roll ha l’interno di gambero di Sicilia e miso, ed è guarnito di tartare di salmone. Niente eccessi di salse e cremette, né semi. Solo decorazioni (non commestibili) di foglie intagliate a mano, come dei merletti, che sono da sempre una caratteristica del locale.
Sulla qualità del pesce si è già detto, su quella del riso vale pena precisare che questo in bocca si sgrana perfettamente, e non fa l’effetto di ammasso colloso come nella gran parte dei sushi bar della capitale.
Segue un assaggio di nigiri edomae, cioè con il pesce marinato secondo i dettami di conservazione messi a punto in circa 200 anni di esperimenti, tra la metà del ‘600 e dell’800, nel periodo “Edo”.
Troviamo tonno, wasabi, gamberi e tobiko, capasanta soya ed erba cipollina e spigola con zenzero grattugiato. Difficile dire quale fosse migliore. Il mio cuore però per la capasanta ha battuto più forte.
Il predessert è zen: melone e yogurt in una fialetta, essenziali nelle decorazioni e perfetti nelle proporzioni. Fresco e piacevole, prepara per il dolce.
Che è una finta ciliegia ripiena di mousse al cioccolato bianco, ricoperta di una sottile pelle di cioccolato e accompagnata da una granita di te matcha che però aveva evidentemente sofferto qualche problema di temperatura. Si erano formati agglomerati che rendevano difficoltosa la degustazione.
Il Sakè
Una menzione a parte va dedicata al sakè. Sushisen offre oltre alla cucina giapponese kaiseki una nutrita carta dei sakè, alcuni anche rari, che vengono raccontati e consigliati dai sakè sommelier con competenza.
Volendo si può scegliere a tutto pasto, ma abbiamo optato per una piccola degustazione alla fine, con assaggi di varietà e livelli diversi. Ogni grado di raffinazione del riso produce infatti esiti anche molto distanti, cui va necessariamente abbinato il bicchiere specifico per esaltare aromi e rotondità.
Si può passare dalle note fruttate e fresche dei sakè non filtrati, a quelle più speziate dei sakè più raffinati, fino alle vette del Dassai 23, uno dei migliori al mondo. Riso raffinato al 23%, e note elegantissime di anice, fiori e liquirizia. Necessario il calice da degustazione.
Sushisen. Via Giuseppe Giulietti, 21A. Roma. Tel. +39065756945