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Quesiti linguistici | Come possiamo usare la parola «random»? Risponde la Crusca – Linkiesta.it

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Tratto dall’Accademia della Crusca

È ormai sempre più comune, soprattutto in ambito scientifico e in campi come la statistica, l’informatica, la sperimentazione clinica o la teoria dei giochi, imbattersi nell’aggettivo random (usato principalmente in riferimento a un campione, un criterio, un modo, una ricerca, uno studio, una selezione, un metodo, un ciclo, un numero) e in una serie di termini a questo collegata: randomizzare, randomizzazione, randomizzato, randomico, randomicità e randomicamente. In questo lavoro ho cercato di individuare l’origine di tali voci, di spiegarne il significato e, per quanto possibile, di ricostruirne la storia.

Random

Il termine random è un prestito integrale dall’inglese. I dizionari inglesi (Cambridge Dictionary, Collins Dictionary, Merriam-Webster, Oxford Dictionary) registrano random come aggettivo, come sostantivo e come avverbio. Come aggettivo significa ‘casuale; accaduto, fatto o scelto a caso; privo di un piano o di uno schema definito’ e, nell’uso informale e con riferimento a una persona, vale ‘sconosciuto, estraneo, strano’; in statistica ‘che ha la stessa probabilità di verificarsi; relativo a elementi che hanno la stessa possibilità di occorrenza’ (Merriam-Webster, Oxford Dictionary), ‘che ha un valore che non può essere determinato ma solo descritto in modo probabilistico’ (Collins Dictionary). Come sostantivo random indica attualmente ‘una persona sconosciuta, estranea’ e come avverbio significa ‘in modo casuale’. Secondo il Merriam-Webster l’avverbio random è attestato dal 1618, mentre come aggettivo è documentato dal 1619, anche se i dizionari etimologici lo datano intorno al 1650.

In base alla ricostruzione presente nell’Online Etymology Dictionary, random verrebbe dall’espressione at random ‘a grande velocità’ (datata intorno al 1560), alterazione del sostantivo medio inglese (Middle English) randon, randoun ‘impetuosità, velocità’ (1300 circa), che deriva dal francese antico randon ‘fretta, disordine, forza, impetuosità’. Stando ai dizionari storici (DMF, TLFi) ed etimologici francesi (DEAF, FEW), randon deriva dal verbo randir ‘correre velocemente, con impeto (di cavallo o di persona)’ (av. 1888), proveniente probabilmente dal franco *rant ‘corsa’, che viene dall’antico basso francone (a.b. frq = ancien bas francique) *rand ‘corsa’, corrispondente al verbo tedesco rennen ‘correre’.

In italiano random è registrato dalla lessicografia come aggettivo invariabile, proprio del linguaggio specialistico della statistica e dell’informatica, con il significato di ‘casuale, aleatorio’ (un campionamento random) e, per estensione, ‘che avviene senza sistematicità, privo di un criterio regolare’ (lettura random).

Il termine è generalmente usato per indicare una variabile statistica suscettibile di assumere valori aleatori, cioè valori non prevedibili a priori. Si pensi, ad esempio, al lancio di un dado: l’uscita di un numero da 1 a 6 è random, ovvero non si può conoscere a priori il risultato effettivo; dal punto di vista statistico, la probabilità di ottenere ciascun numero è infatti la stessa (1/6, cioè circa 16,67%). La voce random può essere usata anche in riferimento a un campione statistico ottenuto in modo casuale.

Alcuni dizionari (Zingarelli, Vocabolario Treccani online) segnalano anche il significato non specialistico di ‘a caso, senza uno scopo o un ordine preciso’ (fare un giro random in auto); lo Zingarelli lo marca come voce gergale, tipica soprattutto del linguaggio giovanile.

Il GRADIT e il Vocabolario Treccani online registrano anche l’uso di random come avverbio, il primo con il significato di ‘che avviene senza sistematicità, privo di un criterio regolare’ (studiare random), il secondo con quello di ‘casuale, casualmente, senza un ordine preciso’ (due pensieri random sulla situazione attuale). Il Garzanti è l’unico a lemmatizzare il termine esclusivamente come avverbio, con l’accezione di ‘casualmente, a caso’. I dizionari registrano anche la locuzione accesso random ‘accesso diretto o casuale’ (dal Devoto-Oli 2023: in informatica, “metodo di accesso diretto ai dati precedentemente memorizzati, realizzato mediante calcolo algoritmico e utilizzato in particolare per la memoria temporanea (detta random access memory ‘memoria ad accesso casuale’, in sigla RAM)”) e la polirematica random walk ‘passeggiata casuale, aleatoria’ (dal GRADIT: in statistica, “modello matematico con cui si rappresenta il movimento di un punto soggetto a spostamenti casuali”).

Effettuando delle ricerche in rete, si nota che, talvolta, al posto del semplice aggettivo random, viene usata l’espressione a random (dimmi una cosa a random). Si tratta probabilmente dell’adattamento della locuzione inglese at random ‘a caso’ (he opened the book at random ‘ha aperto il libro a caso’), registrata da tutti i dizionari inglesi (la lessicografia italiana non registra invece la locuzione); la presenza della preposizione a anche in italiano potrebbe essere influenzata dalla frequenza, nella nostra lingua, delle locuzioni avverbiali formate con tale preposizione1. Le due espressioni risultano abbastanza diffuse: l’interrogazione delle pagine in italiano di Google (in data 6/3/2023) restituisce infatti 390.000 risultati per a random e 109.000 per at random2. Se però prendiamo in considerazione un altro dato, ovvero il numero di occorrenze totali di random (11.400.000)3, ci rendiamo conto del fatto che i risultati di a random/at random corrispondono soltanto al 6,6% delle attestazioni totali e che vi è quindi una netta preferenza per la forma senza preposizione.

Stando alla lessicografia italiana, la data di prima attestazione dell’aggettivo random è il 1974, ma tramite una ricerca in Google libri è possibile retrodatare il termine. La prima occorrenza rintracciata di random è nel Dizionario Universale delle arti e delle scienze di Ephraim Chambers del 1749 (Venezia, presso Giambattista Pasquali, p. 412), in cui si parla di tiro a caso come traducente dell’inglese random-shot; nel corso della descrizione l’autore utilizza anche la locuzione tiro random, in questo caso senza tradurre l’aggettivo:

TIRO a caso, o colpo perduto, random-shot, chiamano gli Inglesi, un tiro o colpo fatto quando la bocca del cannone è alzata al di sopra della linea orizzontale, e non è intesa a tirare direttamente, o di punto in bianco. […] Lo spazio o distanza del tiro random si conta dalla piattaforma al luogo, ove la palla comincia a rasentare.

Sembrerebbe però trattarsi di un caso isolato, tanto che la successiva attestazione si ha un secolo dopo, nel 1874, in una rivista mensile dedicata all’arte della stampa (Composizione e impaginazione d’un giornale in Inghilterra, “L’arte della stampa”, anno VI, n. 1, p. 53):

La copia, giacchè [sic] è oggimai uso di chiamar così ciò che altre volte in Italia chiamavasi esclusivamente l’originale dopo essere stata divisa in varie parti, viene consegnata ai compositori.

Ogni compositore, terminato che ha la propria porzione la colloca sul vantaggio.

Questo vantaggio – o per parlare più esattamente, questi vantaggi, giacché vi sono ad un tempo varii articoli in composizione, ed ogni articolo ha il proprio vantaggio – vengono collocati sopra un random (adottiamo la parola inglese random, che vuol dire cosa fatta in fretta finché non sia trovato un vocabolo più acconcio).

In tale esempio si fa però riferimento al sostantivo inglese random e al suo significato antico di qualcosa che è fatto con particolare velocità: si tratta dunque, in entrambi i casi, non solo di attestazioni isolate che non hanno successo, ma anche di usi molto settoriali dell’anglicismo integrale.

Il termine riappare poi soltanto nel 1950 in una rivista di citologia in cui si parla di mutabilità non-random, il cui significato sembrerebbe quello di ‘(mutabilità) non priva di regolarità, sistematica’; si tratta però di un prelievo diretto della locuzione non random dalla fonte inglese (come attestano le virgolette):

Nel frattempo Gustavsson e Mac Key (1948) mostravano che su 7 mutazioni clorofilliane indotte dal gas mostarda nell’Orzo ben 6 erano «viridis» e 1 sola «albina»; ciò che induceva i ricercatori svedesi, anche sulla base di nuove osservazioni inedite, alla conclusione che Ia mutabilità clorofilliana indotta nell’Orzo dall’yprite è tipicamente «non-random» e che, quindi, le azioni mutagene delle radiazioni e del gas mostarda sono distintamente differenti.

I dati da noi raccolti nella presente ricerca mostrano che anche Ia mutabilità clorofilliana indotta dai derivati acridinici è una mutabilità «non-random», come denotato dalla assenza del tipo «albina», dalla buona frequenza del tipo «viridis» e dalla comparsa di mutanti rari o rarissimi, quali Ia «tigrina-like» e Ia «maculata» (Francesco D’Amato, Mutazioni clorofilliane nell’orzo indotte da derivati acridinici, “Caryologia”, vol. 3, 2, 1950, pp. 217-218).

La prima vera e propria occorrenza (rintracciata) in italiano dell’aggettivo random con il significato di ‘casuale, aleatorio’ si ha solo nel 1959 in un testo di geofisica applicata (il termine è qui tra virgolette, probabilmente perché percepito ancora dall’autore come poco comune):

Tale principio è valido, tuttavia, solo nel caso in cui il disturbo si possa considerare completamente «random», cioè come una variabile casuale (Quaderni di geofisica applicata, vol. XX, Milano, Fondazione Ing. C. M. Lerici e Istituto di Geofisica Applicata del Politecnico di Milano, 1959, p. 40).

Vi sono poi diverse attestazioni negli anni successivi (si parla di campionatura random, numeri random, processo random, modo random), tutte in volumi di ambito scientifico (matematica, medicina, fisica, geofisica, chimica, informatica, ecc.). In base a tali testimonianze, possiamo supporre che l’aggettivo si sia diffuso in campo scientifico tra il 1950 e il 1970.

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