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Prendere a pugni la depressione, la sfida della pugile Jessica Galizia: “Torno sul ring, punto alle Olimpiadi di Parigi” – Il Riformista

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Che problema hai tu: tu che hai un talento, sei giovane, sei bella. Che problema dici di avere, davvero stai male? Così diceva, chi non ci poteva credere. E intanto a Jessica Galizia pioveva dentro, una pioggia fitta e incessante che quando diventava un temporale non c’era ombrello o impermeabile che tenesse. Che la sua depressione non era un acquazzone estivo, passeggero, se n’era accorta nel posto dove si era sempre sentita bene, sul ring. E dove ha deciso di tornare dopo due anni di stop, dopo il crollo, dopo che era arrivata anche in Nazionale. Si allena a Napoli alla palestra Milleculure di Patrizio Oliva. “Ho scelto il migliore per tornare”. Domenica 26 marzo combatterà il suo match di rientro a Latina. L’obiettivo che con Oliva si sono fissati: le Olimpiadi di Parigi 2024.

Galizia aveva trovato nella boxe il posto perfetto dove smaltire la sua rabbia. È nata a Verona, classe 1995, combatte sul limite dei 75 chili, peso medio. Prima la pallavolo, da bambina, poi questo amico che a 18 anni la prende e la porta in palestra. “Ero un’adolescente molto aggressiva e ribelle. Mio padre è stato assente, mia madre lavorava tantissimo per mantenere me e mio fratello, ha dovuto fare sia da madre che da padre. Mi veniva piuttosto facile essere arrabbiata con il mondo”. All‘Accademia Pugilistica del maestro Alessandro Bovo scopre uno sport che trova estremamente mentale, la conquista il ragionamento che c’è dietro ogni movimento, ogni colpo, sotto tutta quella fisicità esplicita e marziale: non è l’ultimo baluardo maschile, non è uno sport per solo uomini. La sua vita cambia.

Dopo due anni si trasferisce a Ferrara, si allena alla New Millennium di Alessandro Duran, ex campione europeo e italiano, eroe della boxe degli anni novanta. “È stato grazie a lui se sono arrivata in Nazionale. Ai campionati italiani del 2018 ho perso in semifinale con Assunta Canfora, ho preso il bronzo ed è arrivata la convocazione“. È in Nazionale, al centro federale di Assisi, quando comincia a piovere forte. “Salivo sul ring e non ero presente fisicamente e mentalmente, questo era chiaro anche agli occhi degli altri che mi vedevano combattere. Non mi sentivo bene, non stavo bene”. Doveva essere un sogno. “Purtroppo era il momento sbagliato. Rappresentare l’Italia è un orgoglio, un onore, ma in quel momento non ero predisposta psicologicamente, mi sentivo una montagna sulle spalle. I risultati non sono arrivati e sono crollata in uno stato depressivo”.

Sfrecciava in Ferrari a 260 chilometri orari, Tyson Fury, quando qualcosa gli disse di frenare, di inchiodare prima di farla finita. Aveva toccato il fondo dopo aver sconfitto da poco Wladimir Klitschko, era campione del mondo dei pesi massimi WBO, WBA e IBF. Si stava buttando via, cocaina e alcol, divorato dal peso delle aspettative. “Si dipinge sempre il successo come una storia meravigliosa, come l’apice della felicità – ha scritto nella sua autobiografia Dietro la maschera, edita in Italia da Piano B – , ma nella mia esperienza provai solo un grande senso di vuoto, e allo stesso tempo sembrava che tutti volessero ottenere qualcosa da me”. Si parla sempre di più di depressione nello sport: questo mondo di idoli, di gente che “cosa ne possono sapere dei problemi di tutti i giorni, che problemi hanno?”. E invece, vale perfino quando si vince. Del suo male oscuro Tyson Fury ha parlato a lungo e spesso, anche prima di tornare campione del mondo WBC dopo una trilogia brutale con Deontay Wilder.

“Lo sport aiuta a uscire dalla depressione, non porta alla depressione: se lo sportivo è depresso è perché già manifestava dei sintomi in precedenza, indipendentemente dallo sport”, spiega lo psichiatra Lorenzo Principe, dell’Ospedale San Gennaro di Napoli, da vent’anni nella medicina dello sport, per quaranta medico a bordo ring. “La depressione intesa come comportamento pessimistico davanti alle situazioni è un modo di affrontare gli eventi che la persona si porta dentro dai costrutti che ha sviluppato in tenera e giovane età. E le aspettative riflettono l’investimento che abbiamo fatto su un obiettivo. Perciò dipendono anche da come vengono alimentate. In questo senso il lavoro degli allenatori è fondamentale, anche a capire che la sconfitta, il fallimento, non sono del tutto negativi. Il problema è quante colpe ci diamo”. Lo stesso Tyson Fury ha riconosciuto in alcuni momenti della sua adolescenza i posti in cui covava il male che gli è esploso dentro, quando era sul tetto del mondo. Al ritorno è letteralmente risorto sul ring dopo un diretto destro terrificante all’11esimo round del primo match della serie con Wilder. La ginnasta Simone Biles era arrivata alle Olimpiadi di Tokyo come l’atleta più attesa. Dopo aver sconvolto il mondo con i suoi esercizi mai visti prima lo ha scioccato ritirandosi da diverse gare. “Ho combattuto tutti quei demoni, ora devo concentrarmi sulla mia salute mentale e non mettere a repentaglio la mia salute e il mio benessere”.

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FOTO DI ROSSELLA GRASSO

C’era chi a Galizia non riusciva a credere. “Ma cosa vuoi avere tu? Non sembra che stai male”. La vedevano sorridente e invece dentro aveva l’inferno. “Riesco a mascherare, non mi viene facile aprirmi e parlare. È difficile spiegare ciò che provi quando stai male. Per me è come una pioggerellina fina e sottile che accompagna le mie giornate, in alcune piove in modo più irruento, in altre esce il sole. È come un’ombra”. Ha detto stop, basta con il pugilato. “Per due anni ho fatto totalmente altro, mi sono trasferita in Svizzera. A un certo punto ho sentito di nuovo quel fuoco ardermi dentro, ho fatto un percorso, oggi sono serena e ho deciso di tornare. Può suonare scontato, ma il pugilato è stato la mia salvezza, mi ha sempre distratto dai miei problemi”.

Dal 2015 Oliva ha aperto con l’altro olimpionico napoletano Diego Occhiuzzi, schermidore, la Palestra Milleculure al Rione Traiano, quartiere popolare e anche difficile. Da maestro ha guidato gli azzurri ai Giochi di Atlanta ’96 e Sidney 2000, oggi allena i ragazzini Schoolboys della Nazionale. “Conoscevo Jessica – racconta l’oro olimpico – , ci ha messi in contatto un’amica in comune. Abbiamo parlato e le ho detto subito sì perché amo i giovani che vogliono fare, che non seguono questo degrado di generazioni senza valori e senza regole, che vogliono tutto e subito. Ho visto in lei quella determinazione che mi fa dedicare anima e corpo, tutto me stesso, a un progetto”. Però a una condizione. “Jessica, se dobbiamo fare questa cosa devi venire a Napoli, ti devo tenere qui tutti i giorni”. Lei non se l’è fatto ripetere due volte: ha fatto il viaggio al contrario, emigrata da Nord a Sud, a Napoli dov’era stata un sacco di volte e dove ama tutto e si sente a casa, mai sola. “La amo infinitamente”. Oliva le ha trovato un lavoro e non ci gira intorno: la categoria (proprio in questi giorni le azzurre combattono i Mondiali in India) è richiesta in azzurro. “Abbiamo stretto un patto, Jessica ama le sfide come me e le sfide possono portarti a fare cose straordinarie. La nostra è quella di andare a Parigi, alle Olimpiadi del 2024. I campioni non sono soltanto quelli che vincono ma anche quelli che ci provano”.

Galizia è una pugile stilista di un metro e ottanta, molto tecnica, senso tattico e gioco di gambe, e quando arriva fa male: ha le mani pesanti. Vuole giocarsi la sua seconda chance. Di salute mentale, del suo male oscuro oggi ne parla volentieri. “Mi porto addosso questo senso di solitudine da quando sono piccola, ho imparato a conviverci. Commettevo l’errore di trovarmi un punto fermo all’infuori di me e ogni volta questa certezza crollava. Ho scoperto che l’unica sicurezza potevo trovarla dentro di me”. A chi attraversa un periodo buio consiglia la psicoterapia, “è fondamentale”, e di parlarne, di chiedere aiuto alle persone vicine quando si capisce che le proprie forze non sono sufficienti. Scrive di tutto questo in una newsletter che si chiama : “Newsletter di Jessica Galizia”. Che originalità: ma la seguono, le scrivono, e lei risponde, si confronta. Funziona insomma. “Non prendo più la depressione come un nemico da abbattere, è più una compagna di viaggio. Oggi ho gli strumenti necessari per combatterla, per tenerla a bada”. Per coprirsi in quei giorni che le piove dentro, più o meno come deve fare sul ring. Cantava Pino Daniele che l’acqua ti inzuppa e scorre, e che l’aria deve cambiare quanno chiove.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

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