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Perché Panzeri si è pentito: ha accettato di dire ai magistrati quello che vogliono lui dica… – Il Riformista

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Lo scandalo Qatargate

Piero Sansonetti — 27 Gennaio 2023

Perché Panzeri si è pentito: ha accettato di dire ai magistrati quello che vogliono lui dica…

I magistrati di Brescia hanno disposto la scarcerazione di Silvia Panzeri e di Maria Dolores Colleoni. Per noi è un’ottima notizia. Qui, in questo giornale, siamo abituati a festeggiare quando scarcerano qualcuno e sospendono la medievalità della prigione. Perdipiù in questo caso si trattava di carcerazione preventiva che quasi sempre, e anche, direi, in questo caso, oltre ad essere contro i principi del diritto è anche contro la Costituzione e contro la legge. Conclusi i festeggiamenti per la scarcerazione, però, ragioniamo un attimo. Chi sono Silvia e Maria Dolores e perché i magistrati hanno deciso di scarcerarle?

Silvia è la figlia di Antonio Panzeri, Maria Dolores è sua moglie. Antonio Panzeri, come tutti ricordate, è il principale imputato per il Qatargate. È sospettato di avere incassato dei soldi dal Qatar, o forse dal Marocco, o da entrambi i paesi, per fare l’ufficio stampa e il lobbista a favore di questi paesi, allo scopo di migliorarne l’immagine internazionale. Le due donne furono arrestate e messe ai domiciliari perché sospettate di avere aiutato Panzeri. Poi il Belgio chiese l’estradizione e il loro trasferimento in una prigione del Belgio. E la Corte d’Appello di Brescia, che doveva decidere in merito, nonostante i molti dubbi sulla regolarità dell’inchiesta dei magistrati del Belgio, decise di concedere l’estradizione delle due donne.

Ora perché la Corte d’Appello decide di liberarle? La legge italiana dice che si possono arrestare delle persone, prima della condanna, a condizione che il reato sia di una certa gravità, e che esistano rischi di occultamento delle prove, o di fuga, o di reiterazione del reato. E di conseguenza si possono liberare, in attesa del processo, se queste condizioni vengono a cadere. Bene. Forse non c’è più il rischio che la moglie e la figlia di Panzeri occultino le prove? Se non c’è ora non c’era neanche allora, visto che nel frattempo non è stata trovata nessuna nuova prova. Forse non c’è più il rischio che fuggano ai Caraibi? Idem: se non c’è adesso non c’era neppure al momento dell’arresto. Forse allora è caduto il rischio che reiteri il reato? Il rischio, a occhio, non è mai esistito. O forse non esiste più neppure il reato? Sì, forse, ma anche in questo caso non è cambiato niente rispetto a qualche settimana fa: se non c’è reato ora non c’era neppure allora. Dunque perché le hanno liberate? Cosa è cambiato dal momento dell’arresto? Le hanno liberate perché i magistrati belgi hanno ritirato la richiesta di estradizione. Non le vogliono più. E i magistrati italiani si son detti: se non le vogliono i Belgi, che le teniamo a fare alla catena?

E allora ecco la nuova domanda: perché i magistrati belgi, che sembravano inflessibili, non sono più interessati alle due donne? Ecco, qui le cose si complicano. I magistrati belgi sono ancora interessati, ma hanno firmato un patto con Antonio Panzeri. Il quale ha accettato di dire ai magistrati belgi quello che loro vogliono che lui dica. E cioè che si dichiari colpevole e che accusi un certo numero di parlamentari europei sostenendo che sono suoi complici. È il meccanismo classico del pentitismo. Ti arresto, ti chiudo in cella, e ti ci tengo finché non collabori e dici quel che io voglio che tu dica. In questo caso alla violenza diretta sull’imputato si aggiunge la violenza sui familiari. “Se non cedi al ricatto imprigioniamo e torturiamo anche loro”. È un metodo che potrebbe sembrare mutuato da quello della parte più violenta della mala.

L’imputato, quando si trova davanti al ricatto, decide se affrontarlo, e farlo affrontare dai suoi cari, o dai suoi amici, oppure se cedere e trattare. Panzeri ha ceduto e trattato. Come si fa al mercato, alla bancarella. Non sappiamo quali confessioni e delazioni abbia accettato di concedere, e in quali tempi, sappiamo cosa ha ottenuto in cambio: la liberazione di moglie e figlia e una pena molto piccola. Un solo anno da scontare ai domiciliari e la confisca dei soldi che gli sono stati trovati e che, secondo l’accusa, sono la prova del reato. Nello stesso processo, l’altra superimputata, e cioè la deputata europea Eva Kaili, ha fatto una scelta diversa. Si è dichiarata innocente e non ha accettato di trattare. Così – sebbene ci siano moltissimi dubbi sul fatto che il suo arresto sia legale – viene tenuta in prigione senza motivo, le viene impedito di stare con la sua bambinetta di due anni da compiere, viene persino sottoposta a una leggera forma di tortura, durata 48 ore, prima dell’interrogatorio, per ammorbidirla. La tortura, per quel che ne so, fu proibita in Francia perché considerata un mezzo illegale di indagine e di pressione, alla fine del 700. Si dice che il Belgio sia sempre indietro rispetto alla Francia. Lo diceva anche Baudelaire. Però tre secoli sono molti.

Ora la questione generale, posta dagli avvenimenti che vi ho riassunto, supera le singole vicende degli imputati, e le polemiche politiche che si sono accese. Il problema è questo: ha molto a che fare col diritto un metodo di indagine che in assenza di prove le fabbrica offrendo a un imputato la possibilità di evitare la pena in cambio di sue accuse – forse vere, forse false – che travolgano delle persone fin qui fuori delle indagini? La trasformazione della giustizia in un sistema di compravendita e di mercato che si ispira alle degenerazioni del mercato capitalista, e che si tiene lontana dalla necessità di appurare la verità, è compatibile con la civiltà e con le regole generali del diritto che vigono in Europa? Noi in Italia questi metodi li conosciamo bene, perché abbiamo vissuto gli anni di Tangentopoli. Qui però si stanno superando i limiti di quella vicenda, già di per sé aberrante. La politica, cioè la struttura dei partiti democratici, intende reagire a questo calpestamento del diritto, che la riguarda da vicino, o preferisce accucciarsi e lasciare via libera alla satrapìa dei magistrati? Ecco, a occhio la risposta è la seconda.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all’Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.

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