A livello globale, secondo le stime della Fao, circa un terzo degli alimenti prodotti viene sprecato. Nell’Unione Europea, questo corrisponde, stando ai dati dell’Eurostat relativi al 2020, a 127 chilogrammi di cibo per abitante. Il 55% dei rifiuti prodotti è da imputare alle famiglie, pari a 70 chili pro capite. Il restante 45% è generato nella catena di approvvigionamento alimentare.
Il costo dello spreco, secondo il report “No Time to Waste”, ammonterebbe a 143 miliardi di euro all’anno. Questo dato acquista ancor più significato se si considera che in Unione Europea 33 milioni di persone non possono permettersi un pasto di qualità ogni due giorni.
Tale fenomeno non ha solo conseguenze economiche e sociali, ma anche ambientali. Lo spreco alimentare, infatti, è una delle fonti principali di inquinamento. Secondo l’Unep (United Nations Environmental Programme), dal cibo scartato deriverebbero tra l’8% e il 10% di tutte le emissioni di gas serra.
Il panorama europeo
Dal 2016, l’Ue si è impegnata in favore di alcune iniziative per invertire questa tendenza. Nel 2019, con l’introduzione del Green Deal europeo, Bruxelles ha confermato il suo impegno a dimezzare gli sprechi alimentari pro capite entro il 2030. Per raggiungere questo obiettivo, si intende facilitare le donazioni di cibo e semplificare le etichette, eliminando l’ambiguità tra le diciture «da consumarsi preferibilmente entro» e «da consumarsi entro».
Al centro del Green Deal, c’è la strategia “Farm to work” che stabilisce una serie di attività sia regolamentari che non e istituisce politiche agricole e della pesca comuni ai Paesi, «come strumenti chiave per sostenere una transizione giusta». A questi provvedimenti, si aggiunge un piano di emergenza per garantire l’approvvigionamento e la sicurezza alimentare.
A livello europeo lo spreco alimentare accomuna tutti i Paesi membri, ma non si manifesta ovunque con la stessa entità. La nazione in cui lo spreco pro capite è maggiore è Cipro, con 369 chilogrammi di cibo sprecato per abitante nel 2020, a cui si contrappone la Slovenia, con 68 chilogrammi pro capite. Ovunque, ad eccezione di Cipro, Danimarca, Slovenia e Lussemburgo, il maggior spreco alimentare avviene tra le mura domestiche.
Il reddito alimentare italiano
In Italia, fino a pochi mesi fa, l’unica direttiva era la cosiddetta “norma antisprechi” del 2016 (legge 166/2016), che favoriva la donazione delle eccedenze alimentari. Nella Legge di Bilancio 2023, poi, è stato introdotto il reddito alimentare, un’iniziativa per evitare perdite e sprechi e sostenere il potere d’acquisto dei meno abbienti.
Si parla di una distribuzione di pacchi di alimenti e bevande invenduti, ma ancora sicuri da mangiare, che saranno ripartiti gratuitamente alle famiglie in difficoltà. Mancano ancora i dettagli, ma è probabile che le scatole saranno prenotate utilizzando un’applicazione e ritirate in centri di distribuzione appositi sul modello della app Too good to go.
Coloro che non sono autosufficienti dovrebbero avere la possibilità di ricevere gli alimenti direttamente a casa. Questa iniziativa, oltre ad aiutare le famiglie in povertà assoluta, ha l’obiettivo di diminuire gli sprechi alimentari. Una misura necessaria se si considera che, nel 2020, ogni italiano ha buttato in media 146 chilogrammi di cibo, una quantità superiore alla media europea.
Le leggi degli altri
Ma l’Italia non è l’unico Paese a introdurre leggi per evitare gli sprechi alimentari. Uno degli esempi virtuosi arriva dalla Francia. Nel 2016, era stata approvata una legge che mirava a evitare lo spreco di cibo incentivando la donazione per i supermercati di oltre 400 metri quadri e vietando la distruzione dei prodotti alimentari invenduti. Nel 2019 l’obbligo è stato esteso alla ristorazione collettiva e all’industria alimentare. Alla ristorazione commerciale è stato imposto di offrire l’opzione delle doggy-bag. Nel 2020, poi, le disposizioni sono state ulteriormente rafforzate con l’aumento delle multe per la distruzione di prodotti alimentari invenduti.
Ci sono casi poi, come quello dell’Ungheria, che sono stati molto discussi. Il parlamento di Budapest ha approvato due anni fa una procedura per prevenire lo spreco alimentare che «punisce le più grandi catene di supermercati straniere nel tentativo di aiutare gli operatori del mercato di proprietà ungherese», riporta Hungary Today. Secondo questa norma solo i grandi supermercati, in particolare stranieri, che dovrebbero donare cibo in scadenza.
La legge più recente a livello europeo è quella spagnola. Approvata a giugno 2022, entrerà in vigore quest’anno. La norma prevede che i ristoranti consegnino – rigorosamente in contenitori di facile smaltimento – gli avanzi del pranzo a tutti i clienti che ne facciano richiesta. I negozi, invece, dovranno promuovere il consumo di prodotti biologici, stagionali o locali e creare linee di vendita per i prodotti «imperfetti». In caso ci siano alimenti non venduti perché non più idonei al consumo umano, ma ancora in ottime condizioni, si prevede in primo luogo una destinazione animale.
Quando non è possibile, saranno utilizzati per ottenere compost o biocarburanti. La legge prevede anche multe per i trasgressori, sia per i ristoranti che non si adegueranno alla norma, sia per supermercati e bar che non adotteranno un piano di riutilizzazione degli alimenti.
Lo spreco alimentare è, quindi, una questione ambientale, economica e sociale che riguarda tutti. Gli obiettivi stabiliti entro il 2030 dovranno essere rispettati se si vorrà davvero favorire lo sviluppo di un’economia circolare, come auspica l’Europa. Se questa tendenza non si arresterà dovremo constatare la veridicità delle stime degli esperti della multinazionale Bernard Gerald Cantor secondo cui «entro il 2030 le perdite e gli sprechi alimentari annuali raggiungeranno i 2,1 miliardi di tonnellate per un valore di 1,5 trilioni di dollari».