La richiesta dell’Ucraina di entrare nell’Unione europea è diventato il punto più delicato del dibattito non solo nell’Eurocamera ma anche tra le diverse istituzioni europee. Se Ursula von der Leyen risponde subito in senso positivo, Charles Michel appare fin da subito più cauto. «L’allargamento è un tema difficile, ci sono opinioni diverse», dice Michel ai parlamentari europei, pur riconoscendo che la domanda di Kiev è motivata e legittima. Nella prima risoluzione votata dall’Europarlamento si finisce col sostenere una posizione ambigua; da un lato si accetta l’adesione dell’Ucraina all’Unione, dall’altro ci si acconcia su procedure ordinarie e non straordinarie, che vuol dire tempi decisamente lunghi.
Il possibile ingresso dell’Ucraina nell’Unione ha riportato alla memoria di molti leader e parlamentari europei i dubbi legati agli effetti del grande allargamento verso Est, quello del 2004-2007, quando ben 12 paesi sono entrati nell’Unione senza essere ancora «abituati alla democrazia» e con valori parzialmente diversi da quelli occidentali. Proprio di questo ho avuto la fortuna di parlare con Romano Prodi nel corso di un colloquio sulla sua esperienza come presidente della Commissione europea (1999-2004), e devo dire che mi sono ritrovata in molte delle sue parole:
«Il treno della storia si prende quando passa – mi ha detto il professor Prodi – e in realtà i dieci nuovi paesi membri del 2004 avevano superato l’esame al 99% per cento. È stato giusto aprire le porte a 80 milioni di cittadini che avevano vissuto sotto un regime autoritario e che ora potevano respirare i valori della democrazia. Se si è rigorosi sull’applicazione delle regole – prosegue Prodi – anche se non vi è riconoscenza e gratitudine da parte dei nuovi paesi, nonostante i lauti finanziamenti ricevuti, e finché non c’è violazione del diritto, è un bene tenerli dentro e lavorare per definire in maniera certa i confini dell’Europa».
Secondo Prodi, i problemi sono iniziati quando le questioni di politica interna hanno cominciato, tramite la torsione autoritaria imposta da leader nazionalisti arrivati al potere, a contrastare il processo di integrazione europea e i suoi valori costitutivi. Ma la spinta dell’Europa a «esportare» democrazia e ad aprire le proprie porte a paesi desiderosi di pace e libertà non deve mai venire meno.
Personalmente sono convintissima di questo. E una volta stabiliti i confini dell’Unione, definendo una volta per tutte anche lo status dei paesi dell’ex Jugoslavia, sempre secondo Prodi, bisogna investire sull’«anello dei paesi amici»: il gruppo degli Stati che va dal Nord-Africa alla Bielorussia, oggi passando anche per la Gran Bretagna, con cui condividere politiche di vicinato proficue e stabili nel tempo.
Pensavo a come dovesse essere stata entusiasmante quella fase, di grande speranza e fiducia nel futuro dell’Unione, una «Unione di minoranze» in cui nessuno prevarica sull’altro, e che appunto esporta diritti e democrazia. La celebrazione del 1° maggio 2004 a Dublino, in occasione dell’entrata dell’Irlanda nell’Unione, fu una vera e propria festa europea, a quasi quindici anni dalla caduta del Muro di Berlino, e anche un modo per ricucire le ferite della storia.
In quella fase, poi, la Russia era favorevole (o meglio disinteressata) all’allargamento dell’Unione (l’allarme era semmai sulla Nato) e i rapporti con la Commissione europea erano positivi. Tanti i summit tra Putin e Prodi, tra cui quello diventato famoso per la risposta secca data dal presidente della Commissione europea al possibile ingresso della Russia nell’Unione: «No, la Russia è troppo grande per entrare e soprattutto vi sarebbero due capitali, Bruxelles e Mosca. Ma la capacità di cooperare c’è, stiamo insieme come il whisky e la soda». Affermazione a cui Putin replicò puntando sul binomio vodka-caviale
Insomma, tornando all’Ucraina, non era possibile dire di no a un paese aggredito e alla ricerca di democrazia e libertà. Ecco perché l’Europa si è schierata subito col popolo ucraino e perché velocemente sono state decise sanzioni molto dure per il paese aggressore.