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Letta rifà le liste alla Bersani, ma ignora che la vera novità è al centro

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«Oggi Articolo Uno e il Partito Socialista hanno formalizzato l’adesione al progetto di lista comune “Italia democratica e progressista”. Buone notizie per chi crede che il 25 settembre dobbiamo e possiamo vincere. Insieme per dare al nostro Paese un futuro migliore». Corsi e ricorsi della storia. La nascita della lista Idp è stato dato da Enrico Letta esattamente 10 anni dopo la formazione della lista “Italia bene comune”, che vedeva insieme il Pd di Pier Luigi Bersani, i socialisti di Riccardo Nencini (che c’è ancora anche se il segretario socialista si chiama Enzo Maraio) e Sel di Nichi Vendola, di cui Articolo Uno di Roberto Speranza è una filiazione.

Non vorremmo fare gli uccelli del malaugurio ma all’epoca le cose non andarono bene e Bersani, pur abbastanza favorito alla vigilia delle elezioni del 2013, perse di brutto soprattutto a causa della marea grillina che lo sommerse ma che con il passare del tempo molto apprezzò.

Peraltro, “Italia bene comune” chiuse presto i battenti, Vendola pochi mesi dopo votò contro il governo di Enrico Letta (alleato con Silvio Berlusconi e Mario Monti) e la minicoalizione di fatto si sciolse.

Ora vedremo se alla lista di Letta aderiranno altre forze, ma per adesso il Pd è stato capace di aprirsi a due piccole formazioni di ispirazione diciamo così socialdemocratica che, con tutto il rispetto, non possono vantare una particolare presenza sul territorio o sui luoghi di lavoro: una “Cosetta rosa” che evidentemente rinuncia a rappresentare istanze di diversa estrazione ideale, appaltando alle altre liste i valori e i programmi liberali, radicali, garantisti e riformisti di tipo nuovo.

D’altra parte il senso della coalizione che il Nazareno sta tentando di mettere in piedi è appunto questo: ciascuno rappresenta una fettina dell’arcobaleno democratico, con il risultato di una frammentazione che non ne garantisce la compattezza (tutta Italia sta vedendo con una certa costernazione le capriole tra i vari leader) né una eventualissima prova futura di governo.

Ma bisogna riconoscere che Enrico Letta sta facendo tutto quello che può, così come gli consente la sua fantasia e la sua prudenza: bruciate le intuizioni visionarie di Walter Veltroni, le tattiche politiciste di Pier Luigi Bersani e il movimentismo senza freni di Matteo Renzi, al segretario attuale non resta che barcamenarsi nel regno del possibile, e il possibile oggi è la mesta riproposizione dell’intesa con Maraio e Speranza, persona quest’ultima a cui non si può negare tutta la solidarietà per la sua parte nella guerra al Covid, però capo di un partito nato contro il Pd e presto fallito che avrà tre-quattro parlamentari non si capisce in base a che cosa.

Anche la piccola organizzazione “Demos”, vicina alla Comunità di Sant’Egidio, è collocata al fianco del Pd, ma ciò non fuga la sorpresa che il cattolico Letta non sembri aver molto arato il terreno dei cattolici democratici che invece tanta parte ebbero nel vecchio Ulivo di Romano Prodi e nello stesso Pd di Veltroni, e si vedrà se nelle liste saranno presenti esponenti della cultura, della società e del mondo del lavoro di cultura cattolica ma per ora, come si dice a Roma, “zero zero carbonella”.

Tuttavia, a parte questo dato, è abbastanza netta l’impressione che Letta voglia fornire un’immagine spostata a sinistra e socialisteggiante del suo Pd, salvo smentite della cronaca.

Il tutto poi dentro un’alleanza, come abbiamo scritto, piena di paragrillini e esponenti della vecchia-nuova sinistra. Ora sembra che l’ex capogruppo del M5s Davide Crippa cerchi un posto nella lista Pd-socialisti-Speranza, mentre l’impero grillino cade sotto i colpi del suo fondatore, Beppe Grillo, che rimanda a casa gente della “prima ondata” come Paola Taverna, Alfonso Bonafede, Vito Crimi, addirittura il presidente della Camera Roberto Fico, una penosa caduta degli dei che ha ben poco di wagneriano.

E intanto questa campagna elettorale, che il leader del Pd immagina tutta polarizzata tra fascisti e antifascisti («O noi o la Meloni»), col passare dei giorni si fa interessante invece al centro, in attesa delle decisioni di Matteo Renzi e di Carlo Calenda, finora l’unico capace di calamitare il dissenso dei moderati e dei liberali della destra.

Mentre Renzi lavora a testa bassa, da solo, alle liste di Italia viva, e sta escogitando mosse alla sua maniera per una tostissima battaglia nei collegi: lui contro Nicola Fratoianni, Luigi Marattin contro Luigi Di Maio, una partigiana contro Enrico Letta. Ci sarà da divertirsi.

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