Langosteria Cafè Milano, vini a mescita per nababbi. Arrivo e mi aggiro per dieci minuti tra impalcature e lavori in corso, cercando invano un pertugio per insinuarmi nel locale. Quando ci riesco c’è il solito signore nerboruto e cupo – specialità delle Langosterie – che mi scruta e mi introduce in questo antro luccicante e smodato, tana di giovanissimi milionari in cachemire, modelle annoiatissime che succhiano ostriche e modelli altrettanto annoiati che arrotolano spaghetti all’aragosta con limone di Amalfi.
Per carità, benissimo, ogni ristorante ha il suo pubblico, il suo stile, la sua clientela, il suo mood. Questo è molto cool, molto trendy, per gente altolocata e giovane che cerca cornucopie di crostacei e un’esperienza psichedelica. Noi entriamo un po’ per caso e dopo essere stati rimpallati da tre giovani – questi molto sorridenti – finiamo in uno sgabellino non comodissimo proprio sotto uno chef addetto a crostacei e molluschi. Nel giro di mezz’ora impariamo l’arte dell’apertura delle ostriche e lo osserviamo mentre ammonticchia su sorta di piatti-altare offerte al dio del mare sotto forma di scampi, gamberi rossi, aragoste, capesante, ricci di mare, clams, ricci di mare.
Restiamo visivamente sballottati come nei primi dieci minuti di Bear e nel frattempo diamo un’occhiata al menu. Siamo di fretta, prenderemo solo qualcosa di rapido e ci buttiamo su una tempura che ci viene servita con un mezzo limone imbustato in un sacchetto traforato, tipo maglietta di John Travolta in Grease, che immaginiamo serva da protezione per poterlo schiacciare senza toccarlo, non sia mai.
Purtroppo, poi, pensiamo: come si fa a mangiarsi una tempura, con il limone in smoking traforato, senza innaffiarlo di un qualche liquido vinoso? Vediamo un po’ cosa offre la carta. Ed è in questo momento che rischiamo lo choc anafilattico, e diverse altre malattie da choc. Non pensavamo certo di cavarcela con le canoniche 5-7 euro per un bicchiere di vino. Ma qui si va oltre. Abbiamo tra i bianchi un Gris Lis Neris, 16 euro; un sancerre Boulay 18 euro, un Planeta Didacus a 25 euro. Peggio sui rossi: un pinot nero Colterenzio da 16 euro e un Barolo F. Conterno da 25 euro.
Va beh, direte voi, sei in un locale di tendenza e di qualità, vuoi non pagare il vino una certa cifra? Voglio, certo, ci mancherebbe. C’è scritta, poi. Ma un calice minimo a 16 euro? E una bottiglia a 60 euro? Sui siti il Gris Lis Neris lo trovi a 21 euro, vuol dire che il ristorante l’ha pagata dal distributore anche meno di 15 euro. In pratica con un calice si son fatti la bottiglia. Non male come ricarico: il quadruplo. A meno che non sia di un’annata particolare, ma è improbabile: sulla carta non è scritta e il vino ti arriva già versato.
Insomma, va bene tutto, ma se vai, chessò, all’Osteria Brunello di corso Garibaldi, per dire, ti bevi un ottimo e abbondante calice di Brunello di Montalcino per 13 euro. Qui con 13 euro ti danno un po’ d’acqua. Non si sarà un tantino esagerato? Ma poi, uno dice, non c’era la crisi? Com’è che c’è tutta questa gente (il locale era quasi pieno) disposta a pagare 20 euro un calice di vino?
Langosteria Cafè Milano, Galleria del Corso 4, tel 02 7601 8167