Nel giro di poche ore gli agenti del FSB, i servizi di sicurezza russi, avrebbero trovato i responsabili dell’omicidio di Daria Dugina, 29 anni e figlia di Alexander Dugin, avvenuto in mattinata con una bomba piazzata sotto la sua automobile.
Secondo le indagini la responsabile sarebbe una donna ucraina, che subito dopo sarebbe fuggita in Estonia. Le autorità di Kyjiv hanno negato ogni responsabilità. Come ha dichiarato il presidente Volodymyr Zelenskiy, «l’Ucraina non c’entra nulla perché, a differenza della Russia, non è uno stato criminale o terrorista». Secondo le ricostruzioni, l’automobile apparteneva al padre Alexander Dugin, il filosofo-ideologo dell’estrema destra russa, convinto sostenitore della guerra contro l’Ucraina.
Lo stesso Dugin, nelle sue prime dichiarazioni pubbliche dopo la morte della figlia, rilasciate insieme al magnate ultraconservatore Konstantin Malofeev, avrebbe chiesto vendetta e rappresaglie nei confronti degli ucraini. A suo avviso l’attacco sarebbe stato «un atto di terrorismo perpetrato dal regime nazista ucraino» e «adesso ci serve solo la nostra vittoria. Mia figlia ha sacrificato sull’altare la sua giovane vita. Per cui, per favore, vincete».
Daria Dugina, che in pubblico mostrava di condividere in pieno le idee del padre, era una personalità ambiziosa in cerca di un proprio spazio politico (più volte aveva chiesto per sé il ministero della Difesa, con aspre critiche al modo in cui veniva condotta).
Come racconta Kamil Galeev era in realtà una personalità camaleontica, disposta a cambiare idee a seconda dell’interlocutore e desiderosa di affrancarsi dalla ingombrante figura paterna, della quale era considerata una pedina. Anche per questo aveva scelto di essere chiamata Platonova e non esitava, in privato, di farsi beffe nei confronti delle idee del padre (una cosa comune a tutti i figli dell’inner circle putiniano).