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“La pace oggi è impossibile, ecco perché”, intervista a Lucio Caracciolo – Il Riformista

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L’Europa, l’Occidente di fronte al “bivio impossibile” della guerra in Ucraina. Il Riformista ne discute con Lucio Caracciolo, direttore di Limes, rivista italiana di geopolitica. Da leggere il suo ultimo libro “La pace è finita” (Feltrinelli, 2022).

Lei ha recentemente annotato: “Quando le forniture a Kiev non basteranno più ci scopriremo di fronte alla scelta che abbiamo finora evitato di considerare: fare davvero e direttamente la guerra alla Russia oppure lasciare che la Russia prevalga. Questo ‘bivio impossibile’ si sta avvicinando, a vantaggio di Mosca”. Siamo già a quel “bivio”?

No, ma se noi osserviamo lo sviluppo di questa guerra nell’anno quasi intero che ha percorso, sembra che ci sia un piano inclinato che se non arrestato arriva a quel punto, cioè la necessità di decidere se, detta brutalmente, lasciare l’Ucraina al proprio destino o fare la guerra alla Russia. Due scelte che sono teoricamente impossibili ma che potrebbero diventare a un certo punto addirittura necessarie.

Di fronte a questo bivio, l’Europa è pronta a praticare la possibilità di uno scontro diretto?

Alcuni paesi europei potrebbero anche immaginare qualcosa del genere. Penso a quelli che teorizzano la necessità della fine della Russia. Mi riferisco ai paesi dalla Scandinavia alla Polonia, alla Romania che non sostengono l’Ucraina semplicemente per l’Ucraina, d’altronde nessuno sostiene l’Ucraina solamente per l’Ucraina, ma la sostengono perché pensano che sia il grimaldello che può scardinare l’impero russo. D’altro canto, se si guarda anche alle dichiarazioni ufficiali di esponenti di quei paesi lo sostengono esplicitamente. L’Ucraina serve per far fuori la Russia.

Di questo avviso è anche l’amministrazione Biden?

No, non lo è, e infatti questo, come si vede, sta creando più di una frizione fra i paesi che citavo in precedenza e l’amministrazione Biden, o quanto meno la sua parte più moderata che oggi è ancora dominante, che esclude di scontrarsi con la Russia. Ed esclude anche che l’obiettivo americano sia quello di far fuori la Russia a favore di una quantità di stati o staterelli successori, qualche decina, che dovrebbero subentrare in quello spazio immenso. Ma vale anche il discorso opposto. Se l’Ucraina perde viene spezzettata e magari in parte anche subappaltata a qualcuno dei paesi che oggi la difendono e quindi è in gioco anche l’esistenza dell’Ucraina. Ed è per questo che la pace è oggi impossibile, e anche per il futuro che si può prevedere. Perché è una lotta per l’esistenza. E sarà risolta, in un modo o nell’altro, sul terreno militare e poi si prenderà atto della vittoria dell’uno o dell’altro oppure di uno stallo che obbligherà entrambi a una forma di compromesso.

Basterà l’invio di qualche decina di carri armati Abrams o Leopard2 a Kiev per cambiare gli equilibri di forza sul campo?

Assolutamente no. Il problema è che l’Ucraina ha praticamente finito le riserve di armamenti e munizioni sovietiche ed ora è totalmente dipendente dal nostro aiuto militare. Senza l’aiuto americano e dei paesi Nato che vogliono contribuire allo sforzo bellico, l’Ucraina è finita. Ha bisogno di noi. A noi spetta decidere le sorti di questa guerra. Una bella responsabilità alla quale cerchiamo di sfuggire.

C’è il rischio che questa guerra possa estendersi ad altre aree e coinvolgere altre potenze, ad esempio la Cina?

E’ difficile dire se il rischio c’è o non c’è. La grande maggioranza di noi prima del 24 febbraio 2022 non immaginava che oggi potessimo trovarci in questa situazione di guerra. Questo per dire che non dobbiamo ragionare sulla base di quello che era il mondo precedente. Siamo entrati in una fase di grande caos, di grande incertezza, in cui i vecchi schemi interpretativi non funzionano. Ciò detto, siccome le cose non cambiano mai completamente, a oggi direi che la soluzione più probabile è ancora quella di uno stallo, cioè di un cessate-il-fuoco, di una tregua che sia più o meno sulla linea attuale del fronte, avendo poi entrambe le parti bene in mente di riprendere la guerra appena le condizioni saranno più favorevoli.

C’è il rischio di una ulteriore escalation per la primavera?

L’escalation potrebbe derivare o da un’offensiva ucraina, ma mi pare che in primavera non abbiano ancora le forze per farlo, o da un’offensiva russa, che sarebbe teoricamente più possibile visti i rapporti di forza complessivi. E qui vedremo effettivamente fino a che punto intenda spingersi Putin. Rischiare un’offensiva che dovesse finire in un flop, avrebbe degli effetti, anche morali, piuttosto devastanti sull’opinione pubblica russa e sulle forze in campo. Credo che un‘offensiva generale non sia in questo momento alle viste, anche perché la vedremmo, nel senso che ci vorrebbe una concentrazione di forze e di mezzi che sarebbero immediatamente visibili anche ai satelliti e alle agenzie di intelligence. Come ha detto di recente il ministro della Difesa americano, Lloyd Austin, non è pensabile che nel corso di quest’anno l’Ucraina possa recuperare tutti i territori persi, e forse nemmeno una gran parte. Al tempo stesso è anche difficile ritenere che la Russia possa avvicinarsi non dico a Kiev ma molto avanti. Allora a quel punto un esaurimento di entrambe le parti o una difficoltà interna di entrambe, potrebbe portare a qualche compromesso provvisorio, in stile coreano per intenderci. D’altro canto, se è vero che la guerra che si combatte in Ucraina è, fra le altre, anche una guerra tra Stati uniti e Russia, è altrettanto vero che per Washington è importante indebolire la Russia, ma non fino al punto di disgregarla, perché perderebbe la giustificazione principale per il mantenimento dell’impero europeo dell’America, e inoltre, insisto su questo punto, si aprirebbero degli scenari da incubo nell’area geopolitica russa ed ex sovietica, dove Mosca ha ancora un arsenale di 6mila bombe nucleari, che dal punto di vista americano potrebbero anche avvantaggiare la Cina. Se la Russia dovesse soccombere e disgregarsi, la Nato non avrebbe più motivo di esistere, come pure non sarebbe necessaria la presenza americana in Europa.

La politica ha abdicato alla “diplomazia delle armi”?

No, ancora no. Almeno da quello che possiamo intuire, si tratta di contatti, intanto ovviamente informali e segreti, e poi tecnici. Sono il Pentagono e la Difesa russa che hanno un contatto permanente diretto per cercare di evitare di doversi sparare addosso direttamente. L’incidente del missile russo caduto in Polonia e subito ribattezzato ucraino è un segnale evidente di questa cooperazione, cioè del fatto che non vogliono arrivare alla guerra diretta. Ma nelle guerre dirette spesso ci si finisce non per volontà ma per accidente, per caso, o per qualche insubordinazione ai livelli inferiori che genera una situazione incontenibile.

In questo scenario, come si sta comportando l’Italia?

Si è messa saggiamente nella scia americana, un po’ trascinando i piedi e qualche volta invece addirittura proponendo di fare cose che forse non può fare. Ha capito, poteva farlo anche prima, che noi dal punto di vista della difesa siamo totalmente nelle mani degli Stati Uniti.

Limes ha dedicato molti numeri alla geopolitica del gas e del petrolio. Come valuta il tentativo del governo Meloni di fare dell’Italia una sorta di hub mediterraneo?

In prospettiva mi parrebbe una buona idea. Bisogna vedere se abbiamo i mezzi per farlo. Quello che mi pare evidente è che l’approvvigionamento di gas per l’Italia e per l’Europa si sposta sempre più dal fronte nord al fronte sud, in particolare via Turchia. E la geografia ci dice che questo è qualcosa che implica un ruolo centrale per l’Italia, perché l’Italia è al centro del Mediterraneo, delle condotte algerine, libiche da una parte e del potenziale del Mediterraneo orientale ancora tutto da sfruttare dall’altra, oltre che dei tubi che dall’Asia, e quindi anche dalla Russia e dall’Azerbaigian, vanno in Turchia, che dovrebbero diventare sempre più rilevanti, passando per i Balcani o per l’Italia, anche per l’Europa.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.

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