Dal Mondo
Ilaria Donatio — 22 Ottobre 2022
Ashkan Rostami è di Teheran, vive in Italia dal 2015 e fa parte del Consiglio di transizione dell’Iran, un organismo che raggruppa partiti politici e gruppi di interesse iraniani che sono contrari al regime teocratico e lavorano per costruire un’alternativa democratica.
“Nel Consiglio di transizione”, spiega Rostami, “sono presenti i principali gruppi di opposizione e gli attivisti politici che – seppure di diversa estrazione ideologica – sono accomunati da un’identica adesione ai principi dei diritti umani e di democrazia”. Da anni, questa federazione di soggetti (alcuni dei quali “lavorano anche all’interno dell’attuale regime”) si prepara a guidare la transizione dalla Repubblica islamica a una forma di Stato finalmente democratico.
Lo fa, tramite la messa a punto di un programma che ha alcune priorità politiche “irrinunciabili”, su cui il Consiglio cerca interlocutori validi anche tra le forze politiche occidentali: l’adesione al Trattato sulla non proliferazione delle armi nucleari, l’adesione alle linee guida sull’antiriciclaggio e sul finanziamento del terrorismo, lo scioglimento della Guardia rivoluzionaria e della sua forza estera (Forza Quds), la normalizzazione dei rapporti con Israele e Usa, infine e principalmente, la costruzione di un governo laico e democratico frutto di regolari elezioni popolari, tramite un referendum che sia monitorato da enti internazionali (https://iran-tc.com/en/about-us/).
È a queste forze politiche che, idealmente, le imponenti e spontanee proteste degli ultimi mesi fanno riferimento: “Si tratta di proteste dal basso e senza leader ma perché questo genere di mobilitazione apartitica abbia un esito concreto e misurabile, per non esaurirsi, deve necessariamente trovare da un lato un’organizzazione strutturata che dia loro forma e, dall’altro, che tutto il mondo non dimentichi il popolo iraniano, e che i media continuino a seguirci e a sostenerci”, sottolinea Ashkan Rostami che aggiunge di non aver mai visto nulla di paragonabile: “Forse, un po’ somigliano alle proteste del 2019, per numero di città coinvolte – più di 80 – e per livello di repressione”, ma allora l’indignazione popolare fu provocata dall’aumento dei prezzi del carburante, trasformandosi – solo in seguito – in una rivolta contro il governo iraniano.
Ma, per esempio, prosegue Rostami, “il numero di persone” scese per strada e in piazza a protestare è “più simile a quello delle rivolte del 2009” dopo i brogli elettorali: “Si tratta di milioni di giovani culturalmente molto simili ai ragazzi che osservo in Italia, che sono cresciuti su Internet, in un mondo globale, e che non possono rinunciare a essere liberi esattamente come i ragazzi e le ragazze italiani o francesi”. Ma la differenza principale, sostiene, è che le proteste non reclamino più una semplice “riforma del sistema” ma proprio la sua “caduta”.
Il regime iraniano – di cui l’hijab rappresenta un simbolo sia religioso che politico – è un sistema di oppressione che l’Islam sciita rivolge principalmente “contro le donne che intende sottomettere”: una lettura totalmente religiosa e fanatica del ruolo delle donne che costituiscono il cuore della società iraniana, la parte più consistente e numerosa, visto che sono circa il 60% di tutto il popolo.
Ma quanto hanno compromesso realmente lo stato di salute del governo iraniano? A giudicare dalle tante testimonianze raccolte, secondo Ashkan Rostami, “abbastanza” e infatti per la prima volta nella storia della Repubblica islamica (che reca in sé elementi di governo repubblicano e di governo islamico), la scorsa settimana, si è svolta una “riunione di emergenza” tra i diversi poteri dello Stato e, dunque, “tra Parlamento, Assemblea degli esperti, Consiglio dei guardiani della Rivoluzione e presidente”. L’unica figura che sembrerebbe starne fuori è l’ayatollah Ali Khamenei, la Guida suprema, all’apice della catena di comando che assume su di sé oltre all’autorità di guida religiosa della comunità anche quella di guida politica: “Lui – oramai ottantenne – sembra essere parzialmente consapevole di quanto sta accadendo, appare rallentato nei gesti e nelle parole – molti commentatori sostengono che sia da anni consumatore di oppio – e sarebbe dunque protetto dal resto del sistema anche nell’accesso a tutte le informazioni”. Ma è emersa e anche molto netta “una frattura” evidente all’interno dell’apparato militare: si dice che “in alcune città, le guardie rivoluzionarie sparino contro quelle dell’organizzazione paramilitare del Basij che, a loro volta, sparano contro le forze dell’ordine normali”.
Intanto, però, dal principio delle proteste, oltre 5000 persone sono state arrestate, sottoposte a tortura e maltrattamenti, secondo Amnesty International. Quattro settimane fa è successo a un amico di Ashkan Rostami, attivista politico e blogger.
“Lo hanno arrestato a casa sua proprio durante un’intervista che stava rilasciando alla tv londinese Iran International: mentre parlava con il giornalista, tutti abbiamo sentito il rumore di qualcuno che sfondava la porta. Lui ha capito che le guardie rivoluzionarie erano entrate in casa, ha guardato per un attimo alle proprie spalle e scandito, in diretta: ‘Sono arrivati’. Lo hanno picchiato fino a rompergli entrambe le gambe e portato nel carcere di Evin”, dove sono rinchiusi i prigionieri politici e dove l’altra notte – in seguito a una rivolta – è scoppiato un incendio che ha provocato finora 8 morti. Come in un film ma è tutto vero.
Ho scritto “Opus Gay”, un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull’agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro a +Europa.
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