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Infedeli alla linea | Le baruffe nazareniche di un partito disconnesso dalla realtà – Linkiesta.it

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Manca ormai meno di un mese alle primarie del Partito democratico e non è che l’aria stia migliorando, né dal punto di vista dell’appeal esterno né tantomeno da quello del clima interno. Anzi, cominciano a serpeggiare i soliti sospetti sulla correttezza.

Ieri è emersa una polemica tra i sostenitori di Stefano Bonaccini e l’ex partito di Bersani, Articolo Uno, in procinto di entrare nel Partito democratico alla vigilia della campagna congressuale nei circoli, ed è una vicenda abbastanza penosa. Secondo i bonacciniani, quelli di Articolo Uno farebbero le tessere per votare nei circoli al costo di cinque euro, cioè il prezzo delle normali tessere del partito, mentre quelle del Partito democratico “costano” venticinque euro. Morale: molte persone sceglierebbero il gruppo di Bersani, più “economico”, per poter partecipare al congresso, determinando un piccolo ma scorretto squilibrio dato che i bersaniani sono schierati dalla parte di Elly Schlein.

A Bologna invece si è chiuso in un brutto clima il giallo sulle tessere in bianco – scusate il bisticcio – dopo che il comitato di Bonaccini aveva sollevato il dubbio che molte di esse fossero in mano ai seguaci di Schlein: ore e ore di discussione, alla fine la federazione ha chiarito che è tutto a posto. Tanto per dare l’idea del clima. Piccole cose che succedono a ogni congresso.

La paradossalità della cosa è che il clima interno si arroventa in maniera direttamente proporzionale alla freddezza dell’opinione pubblica, anche quella più vicina al Partito democratico. Se un anziano ex dirigente storico del centrosinistra, nonché sperimentatissimo uomo di Stato come Giuliano Amato si lascia sfuggire che «il Pd non è più un partito, è una dirigenza: esistono ancora i circoli, ce n’è uno vicino a casa mia, è sempre chiuso», e che addirittura i dirigenti «sono piccoli uomini che si occupano di piccole cose», vuol dire che la situazione è grave e pure seria.

Tutti lamentano che i candidati sono abbastanza indistinguibili – chi è munito di lente d’ingrandimento aspetta di leggere i testi congressuali dei fab four – e una campagna che è sempre più noiosa, appunto indecifrabile, con un eccesso di fair play (in pubblico, perché in privato se ne sentono di tutti i colori), mentre i dirigenti a ogni livello fanno i conti con le prospettive personali.

I candidati girano il Paese (oggi si apre a Milano la due giorni di Bonaccini – per carità, non chiamatela Leopolda – mentre Schlein è in Piemonte e domenica in Emilia) ma si avverte lo stesso come una specie di estraneità del congresso rispetto alla realtà politica concreta: due rette che non s’incontrano mai.

Cresce la tensione sulla guerra, si moltiplicano gli errori del governo, cresce l’incertezza nel Paese ma il congresso del Partito democraico è ripiegato su se stesso, avulso dal contesto generale, chiuso verso l’esterno, insomma disconnesso dal mondo reale, ed è obiettivamente arduo identificare una proposta forte, concreta, da parte dei vari candidati su una questione qualunque.

Così come permane totalmente assente l’indicazione di una normale linea politica, di una ipotesi di alleanze politiche e sociali, di un progetto a medio termine per andare verso il cuore della legislatura. Per tutto questo, i militanti sembrano privi non diciamo di entusiasmo ma neppure di interesse verso il proprio destino: ed è in questa bruma che spumeggiano le piccinerie e – speriamo di no – le scorrettezze. E come un senso di rassegnazione.

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