Il Noma, uno dei ristoranti più influenti al mondo, definito dal quotidiano danese Politiken “fascism in avant-garde clothing” (fascismo mascherato da avanguardia) per il trattamento riservato agli stagisti, chiude (di nuovo).
Dal 2025 il ristorante di Copenaghen si convertirà in un laboratorio alimentare a tempo pieno.
Cosa che per noi maniaci significa, in soldoni, disporre di un nuovo negozio di alimentari esclusivi e costosi (come l’aceto di rose selvatiche e il garum di funghi affumicati ). Il negozio del ristorante più famoso del mondo.
“Per continuare a essere il Noma, dobbiamo cambiare“, si legge oggi sul sito del ristorante. “L’inverno 2024 sarà l’ultima stagione del Noma così come lo conosciamo”, anche per gli stagisti direbbero i maligni.
Il ristorante, che in questo periodo propone nel menu fantasiosi piatti di selvaggina (germani reali, alzavole, fagiani, cervi, alci, renne) bacche, abbondanza di funghi e “tutto ciò che di selvatico si può trovare nella foresta”, è stato più volte il ristorante migliore del mondo. Almeno per l’autorevole classifica internazionale “50 best restaurant”.
Oltre a essersi guadagnato 3 stelle dalla Guida Michelin.
Se volete farvi un’idea del menu e dei 10 migliori piatti del Noma, eccovi serviti.
Aperto nel 2003 da Claus Meyer e dallo chef René Redzepi, Noma ha avviato lo stile noto come “New Nordic”, basato su ingredienti locali creativamente cucinati e sul lavoro non retribuito degli stagisti.
Annunciando la chiusura del ristorante, Redzepi ha detto al New York Times: “È un modello insostenibile”. Economicamente e emotivamente, come datore di lavoro e come essere umano, semplicemente non funziona”.
Il Noma chiude: le reazioni
Le reazioni degli appassionati, anche nei nostri canali social, hanno espresso un misto di tristezza e riverenza. C’è chi vuole prenotare subito la sua ultima cena nel ristorante di Copenhagen, ma non sono mancate critiche per le condizioni di lavoro riservate dal Noma agli stagisti.
I più caustici si sono chiesti se la chiusura del ristorante di Redzepi significasse la morte della cucina radical chic.
Gli stagisti al Noma: 16 ore al giorno di lavoro non pagato
L’annuncio della chiusura è arrivato pochi mesi dopo che il Noma ha iniziato a pagare i suoi stagisti. Nell’ottobre del 2021, il ristorante ha annunciato che per la prima volta i tirocinanti avrebbero ricevuto una paga.
Nel mondo dell’alta cucina la figura dello stagista non viene quasi mai retribuita. Il compenso per gli estenuanti orari di lavoro che vengono richiesti ha un valore “inestimabile”, secondo i datori di lavoro. È l’esperienza di lavorare in un ristorante di alto livello.
Poiché Noma è, senza dubbio, un ristorante di prestigio, gli stagisti sono arrivati da ogni parte del mondo, felici di sottoporsi a un calvario pur di imparare dagli chef più influenti del settore.
Come hanno scritto sia il New York Times che il Financial Times, molti di loro non hanno ricevuto l’istruzione che si aspettavano e, soprattutto, hanno trovato condizioni di lavoro molto diverse da quelle che speravano.
6 accuse rivolte dagli stagisti al Noma
Le accuse principali rivolte da alcuni stagisti al sistema di lavoro del Noma sono queste.
1 – Secondo il New York Times, la maggior parte degli stagisti si è ritrovata a svolgere compiti inutili e umilianti (per esempio realizzare 120 scarabei di frutta per tutta la durata del loro tirocinio al Noma).
2 – Altri hanno detto al Financial Times di essere stati costretti dagli chef a strappare le piume alle anatre fuori, sotto la pioggia gelata di Copenhagen
3 – Lo stesso New York Times ha citato uno stagista del Noma a cui è stato proibito ridere in cucina.
4 – A causa dei ritmi di lavoro inumani, un ex stagista del Noma ha detto al Financial Times di essere stato “rapito dalla vita”.
5 – Fino a pochi mesi fa, sempre secondo il Financial Times, circa 30 stagisti lavoravano 16 ore al giorno non retribuiti.
6 – Un ex tirocinante intervistato dal quotidiano economico inglese ha affermato che il Noma ha ingannato gli stagisti sul numero di ore lavorative concordato prima del loro arrivo.
Stagisti e la difesa del Noma
Rene Redzepi e i suoi si sono difesi dalle accuse dei due quotidiani anglosassoni rispondendo che tutti i lavoratori della ristorazione svolgono compiti ripetitivi. E che l’esperienza della stagista autrice di centinaia di scarafaggi alla frutta “non riflette il Noma inteso come posto di lavoro e lo spirito del team”.
Ovviamente hanno ribadito come i tirocinanti del ristorante di Copenhagen abbiano acquisito una preziosa esperienza che, per molti di loro, ha rappresentato il trampolino di lancio per la carriera.
La decisione assunta dal Noma di pagare gli stagisti del Noma ha aggiunto quasi 50.000 euro di spese operative mensili al budget del ristorante, secondo il New York Times.
Per gli stagisti dei ristoranti di fine-dining ottenere il sospirato compenso è sicuramente un progresso. Ma non possiamo ignorare che il cambiamento è arrivato dopo una raffica di segnalazioni sulle insostenibili condizioni di lavoro nel mondo dell’alta cucina.
Se il Noma, dove i commensali spendono circa 500 euro a persona, non è sostenibile economicamente perché paga uno stipendio ai suoi lavoratori, allora è l’intero settore dei ristoranti di lusso a doversi completamente ripensare.
Nel suo ruolo di “ristorante numero 1 del mondo” il Noma era nella posizione ideale per dare l’esempio e creare un ambiente di lavoro migliore.
Invece, Redzepi sembra rassegnato al fatto che il mondo dei ristoranti stellatissimi, se vuole continuare, dovrà essere reinventato da zero. E con qualcun altro al comando.
Se neanche il Noma ce la fa
La chiusura del Noma finisce per mettere a fuoco difetti che nel mondo della ristorazione sono diventati strutturali.
Il modello dello chef despota a cui tutti gli stagisti, intimoriti, rispondono ossessivamente “Sì chef”, come avveniva al Noma, è familiare a chiunque abbia lavorato nella cucina di un ristorante. Col senno di poi, lo stesso Redzepi ha definito inaccettabile il suo comportamento sul posto di lavoro.
Ma nemmeno lui, da una posizione privilegiata, è riuscito a trovare la giusta via di mezzo tra i due estremi.
Da una parte le giornate lavorative di 16 ore non retribuite, dall’altra l’ideale utopico del ristorante che paga il personale “abbastanza da permettersi bambini, un’auto e una casa in periferia”. Come lo chef danese ha detto al New York Times.
Le proteste dei tirocinanti e del personale di cucina che ha coinvolto chef famosi anche in Italia, come Alessandro Borghese o Filippo La Mantia dimostrano una cosa. Redzepi al Noma non è certo l’unico chef a supervisionare posti di lavoro insostenibili per stagisti e dipendenti.
Al momento, gran parte dei ristoranti di alta cucina o stellati dalla Guida Michelin, fa affidamento su un mix sgradevole di lavoro non retribuito e un certo livello di intimidazione.
Cosa diventerà il Noma
Il Noma che chiude i battenti nel 2024 e si reincarna in quello che Redzepi chiama “Noma 3.0”, svilupperà nuovi prodotti da vendere sulla propria piattaforma di e-commerce. E occasionalmente aprirà come ristorante pop-up, insomma temporaneo.
Non sarà questa l’ultima volta che sentiremo parlare del Noma e dei suoi stagisti.
Tuttavia, come ha scritto Redzepi nell’annuncio di chiusura, “Servire gli ospiti farà ancora parte di ciò che siamo, ma la parola ristorante non ci definisce più”.