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Il Gratteri-pensiero: la giustizia si fa solo con il carcere – Il Riformista

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Continua la crociata del procuratore contro la riforma

Tiziana Maiolo — 12 Gennaio 2023

Il Gratteri-pensiero: la giustizia si fa solo con il carcere

“Così non si faranno più i processi”. Ha ragione a vantare la propria coerenza, il procuratore Nicola Gratteri. Lui la riforma Cartabia l’ha buttata nel cestino da subito: pollice verso in toto, punto. E ora che i suoi colleghi, dopo aver ottenuto dal governo un rinvio di due mesi perché le procure “soffocavano” per il surplus di lavoro, lamentano di nuovo di non farcela ad applicarla, lui può sedersi placidamente nell’arena di Floris e lanciare il proprio “ve l’avevo detto, io”. Addirittura irride: quando tutti avevano paura persino a pronunciare il nome di Draghi, io avevo avvertito il pericolo di quelle norme.

È il classico magistrato contro-riformatore, il procuratore Gratteri, uno di quelli che non vorrebbero mai cambiare niente, forse in altri tempi, prima di innamorarsi dei blitz con centinaia di arrestati, avrebbe apprezzato una carriera con progressioni per anzianità. Infatti non gli è piaciuto il fatto che una legge voluta dall’ex premier Matteo Renzi lo obblighi a abbandonare la toga a 70 anni. E propone che su base volontaria si possa abbandonare i palazzi di giustizia a 75 anni. Si porta avanti con il lavoro, visto che lui è un giovincello di 64. A lui della riforma Cartabia, ma anche del precedente e attuale governo, sulla giustizia non piace proprio niente. Si era un po’ illuso sulla figura di Giorgia Meloni, sperava che in lei sarebbe emersa la parte più forcaiola, con l’avvento al governo. Ma già la scelta del guardasigilli Carlo Nordio pare intollerabile.

Uno che proprio ieri al question time ha definito un “intollerabile fardello di dolore” il numero di suicidi nelle carceri raggiunto quest’anno. Uno che vuole investire sulla salute dei detenuti. E che aggiunge, quasi fosse un contraltare, “trovo irrazionale che lo Stato spenda centinaia di milioni all’anno per intercettazioni inutili quando non troviamo i soldi per pagare il supporto psicologico ai detenuti”. Uno così non può proprio piacergli. Infatti il suo punto di vista su ogni tipo di intrusione nella vita altrui è all’opposto. Le intercettazioni costano cinque euro al giorno, ha detto martedì sera nell’arena di Floris. E poi sarà anche vero, come ha detto il ministro, che il mafioso non parla al telefono, ma se uno chiama un altro e gli dà un appuntamento, a noi questo basta per avviare l’indagine. Semplice, no? Attenti a non darsi mai appuntamenti per telefono, meglio usare un piccione viaggiatore, in fondo le intercettazioni costano solo cinque euro al giorno, no?

Certo, sommando e moltiplicando tanti biglietti da cinque euro si arriva a quei 170 milioni all’anno di cui ha parlato il ministro Nordio al question time, per definire certe intercettazioni come “fallaci e ingannevoli”. Forse il procuratore Gratteri e tanti suoi colleghi dovrebbero leggere le sentenze in cui i giudici irridono chi ha ascoltato e interpretato certe conversazioni. Per esempio attribuendo serietà a battute scherzose. E se Carlo Nordio lamenta come nei giorni scorsi in Veneto sino state rese pubbliche conversazioni tra persone non indagate, in spregio a qualunque norma anche rispetto a quelle emanate dal governo Draghi, nelle ore precedenti Nicola Gratteri aveva rilanciato il suo sberleffo di quando, dopo il solito blitz, aveva ingaggiato un corpo a corpo con i giornalisti, prima convocando poi annullando poi riconvocando la conferenza stampa e aveva detto sghignazzando: “oggi sono stati arrestati 200 innocenti”. Innocenti secondo la Costituzione, certo. C’è poco da ironizzare. Ma lui rinnova la tiritera, anti-Cartabia, contro la norma sulla presunzione d’innocenza che tutela il diritto alla non colpevolezza prima della sentenza definitiva.

Non si sottrae, l’alto magistrato, neppure sull’attualità, che vede di nuovo i procuratori all’assalto dell’entrata in vigore, all’interno del pacchetto Cartabia, di quella norma che estende le previsioni di reato attivabili a querela della parte offesa. Il lamento va dal procuratore generale di Napoli Luigi Riello, fino al segretario di Area, la corrente di sinistra del sindacato magistrati, Eugenio Albamonte. I quali non si turbano del fatto che l’indubbia riduzione del carico di lavoro che la scelta comporta sia richiesta dal Pnrr e dall’impegno di ridurre l’arretrato dei fascicoli penali del 25% entro il 2026. Bastano gli slogan, per quelli non occorre affaticarsi. L’Europa, afferma con sicurezza il procuratore di Catanzaro, ci ha chiesto di accelerare i processi, non di non farli. Come se non esistessero già una serie di reati procedibili a querela di parte. Come se questa procedura non fosse già prevista nel codice. Ma c’è il solito equivoco, per cui pare che non ci sia la possibilità di fare giustizia se non con lo strumento del carcere. Immaginiamo che cosa succederebbe se il governo pensasse anche aa un piano di depenalizzazioni, cosa che, con grande contraddizione, chiede anche il sindacato delle toghe. Sarebbero le prime a scendere in piazza contro.

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Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.

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