ESTERO

Etgar Keret: “Israele diviso in due tribù, l'israeliana e l'ebraica”

etgar-keret:-“israele-diviso-in-due-tribu,-l'israeliana-e-l'ebraica”

Lo scrittore, autore di “Sette anni di felicità”, commenta il risultato delle elezioni, mentre a Berlino si è aperta la sua mostra “Inside out”, fra memoria, letteratura e arte contemporanea

Israele è diviso in due tribù che si detestano, “l’israeliana” liberal e “l’ebraica” conservatrice, ma ormai la polarizzazione politica estrema è un preoccupante “fenomeno globale”. A dirlo all’indomani del voto che ha visto il nuovo successo di Benyamin Netanyahu, insieme ai suoi alleati religiosi e di ultradestra, è lo scrittore israeliano Etgar Keret, raggiunto dall’Adnkronos a Tel Aviv, di ritorno da Berlino dove si è aperta una sua mostra che mischia letteratura, oggetti e arte contemporanea, per raccontare la sua infanzia e la memoria della madre.

“Se devo provare a definire le due tribù opposte della società e la politica israeliana potrei dire che c’è la tribù ‘israeliana’ che vede Israele come un paese come ogni altro, i cui principali valori sono democrazia, parità e libertà di parola. La tribù opposta è quella ‘ebraica’ che vede nell’identità e il credo ebraico l’ossatura e la sola ragione di esistenza del paese”, dice Keret, acuto e ironico osservatore dei sentimenti e della vita quotidiana nei suoi libri di racconti brevi.

I due campi si odiano più di quanto temono Iran e Siria

“Mentre la tribù israeliana liberale punta ad una maggiore parità e rappresentazione delle minoranze, la tribù di Bibi – prosegue Keret utilizzando il nomignolo di Netanyahu – consiste in partiti che sono apertamente omofobici e misogini (la prima cosa che ho sentito dal partito Sionismo Religioso di Ben Gvir dopo le elezioni è stato l’auspicio di cancellare i gay pride). Queste due tribù sembrano odiarsi e temersi l’un l’altra, più di quanto temano l’Iran, la Siria o qualsiasi altro nemico dello Stato. Ogni tribù vede nell’altra, liberale o conservatrice, idee che potrebbero portare alla caduta o la distruzione d’Israele. Credo che se Israele non sarà in grado di cambiare e creare un diverso dialogo, più inclusivo ed empatico, continueremo a vedercela con due diverse entità che occupano lo stesso spazio, ma hanno poco in comune”.

Secondo Keret, il problema non è però solo israeliano, ma globale, “accade anche negli Stati Uniti, in Brasile, il disaccordo nella società si cristallizza in due campi, entrambi aggressivi uno contro l’altro”. “E’ una visione binaria, chi non è con me è un nemico”, continua lo scrittore, ricordando come questa assenza di dialogo sia stata molto forte durante il covid per quanto riguarda i vaccini. Ed è un fenomeno alimentato anche da una politica fatta di Twitter e Tik Tok”, lontana dai fatti reali, dove “a nessuno importa delle tue azioni, ma solo di quello che dici o twitti”.

A Berlino si è aperta la sua mostra Inside Out che mischia memoria, arte e letteratura

E’ un’assenza di dialogo che preoccupa lo scrittore noto in Italia per libri come “Sette anni di felicità” e “Pizzeria kamikaze”. Autore assieme alla moglie Shira Geffen del cortometraggio Jellyfish sulla vita multicuturale di Tel Aviv, premiato a Cannes nel 2007, Keret ha sempre amato la contaminazione fra diverse forme di espressione.

Così a Varsavia c’è la Keret House, la casa più stretta del mondo (fra i 92 e i 152 centimetri), costruita nell’angusto spazio fra due vicoli e progettata dall’architetto Jakub Szczesny per ricordare la memoria dei famigliari dello scrittore uccisi in Polonia dai nazisti. E la memoria è al centro anche della mostra “Inside out” che si è aperta il 21 ottobre a Berlino, dove le vicende dell’infanzia dello scrittore e le memorie dei genitori sopravvissuto all’Olocausto, vengono raccontate attraverso nove racconti brevi, il cui audio si può ascoltare in ebraico, inglese e tedesco.

(di Maria Cristina Vicario)

Leave a Reply