Associare alla parola flop Eataly, la catena di food e ristorazione fondata da Oscar Farinetti, 68 anni, e comprata per il 52% dal finanziere Andrea Bonomi, fa abbastanza impressione.
Specie ripensando ai primi anni di crescita irruenta e di aspettative stellari.
Ma l’accostamento viene fatto spesso dal 21 settembre, quando l’imprenditore di Alba ha rinunciato alla maggioranza di Eataly, passando dal 58,1% al 22% del capitale pur di consegnare il 52% a Bonomi.
Partecipazione che Investindustrial, il fondo di investimenti del manager nato nel 1965 a New York, ha pagato 200 milioni di €, riconoscendo al gruppo di Farinetti un valore totale di circa 600 milioni di €.
Eataly: i (freddi) numeri
Guardando ai freddi numeri si può dire che, sì, la creatura di Farinetti è un (mezzo) flop.
E pensare che nel 2018, quando la quotazione in Borsa di Eataly sembrava certa, giravano valutazioni fino a tre miliardi, come ha ricordato Bonomi nelle ultime ore.
Ma il 2021 di Eataly Spa si è chiuso con una perdita netta di 22 milioni, diventati 31 milioni a livello di consolidato fiscale.
La partecipazione di Eataly (EatalyWorld) nella compagine societaria di Fico, il parco enogastronomico di Bologna che a oggi perde 7,5 milioni, è stata svalutata del 100%. Mossa obbligata quando una partecipazione societaria perde valore in modo permanente.
Il rovescio della medaglia del fatturato 2021, pari a 464 milioni, è l’indebitamento netto di Eataly: 237 milioni.
Di questi, 105 milioni sono stati chiesti e ottenuti con procedura semplificata e garanzia al 90% dalla Sace, società che fa capo al ministero dell’Economia.
“Corsie preferenziali” non riservate a tutte le aziende italiane, senza contare che Eataly ha anche ricevuto sedi senza pagare l’affitto.
Nel 2022, i soci storici, vale a dire le famiglie Farinetti e Baffigo/Miroglio oltre a Clubitaly, società del fondo di Giovanni Tamburi che resta in società con il 19,8%, si attendono risultati migliori da Eataly, come del resto Bonomi.
Grazie a un fatturato in ripresa attorno ai 600 milioni e un Ebitda, cioè il margine operativo della società, che potrebbe avvicinarsi ai 40 milioni.
Come si arriva alla Eataly di Bonomi: il mancato decollo dell’eterna promessa
Numeri che già da qualche anno lasciavano intuire il mancato decollo dell’eterna promessa. Una grande idea di Farinetti che, bisogna riconoscerlo, si è dimostrata sbagliata.
In Italia, soprattutto al sud (il negozio di Bari ha chiuso), non è economicamente sostenibile un formato alla Eataly, ovvero un mercato dall’atmosfera familiare di prodotti del territorio, piccoli e raffinati, con prezzi da ristorante di lusso.
Alla fine, se al progetto togliamo i fasti degli esordi rimane quello che è: un semplice ristorante – mercato. Troppo costoso in sé, specie per i tempi che corrono.
Nel 2017 la società di Farinetti ha avuto ricavi per 460 milioni, l’anno successivo per 475 e per 525 milioni nel 2019. Ma se il fatturato cresceva (poco), l’Ebitda calava progressivamente: 39 milioni nel 2014, meno di 30 l’anno successivo.
La marcia indietro di Eataly è stata ancora più evidente nel 2021, con il fatturato a 464 milioni e l’Ebitda, come rimarcato da Bonomi, sceso a 14,4 milioni di €.
Bisogna dire che gli ultimi anni sono stati terribili, non hanno aiutato la pandemia prima e poi la guerra. Pur non licenziando mai nessuno, la catena del Made in Italy alimentare è stata costretta a mettere i dipendenti in cassa integrazione.
Ma se l’idea di Farinetti ha fallito in Italia, almeno nei numeri, all’estero sta funzionando eccome, in particolare negli Usa.
Non per niente gli 8 punti vendita americani sui 44 totali aperti in 15 Paesi del mondo, rappresentano circa il 60% dei ricavi di Eataly, e continuano a crescere, ha fatto notare Bonomi.
Storia di Eataly, prima di Bonomi
Eataly, prima di diventare il gruppo con 44 negozi in 15 paesi acquistato per il 52% da Investindustrial, il fondo di Bonomi, è nata per volontà combinata di tre piemontesi.
Sergio Chiamparino, che era sindaco di Torino quando il 26 gennaio 2007 è stato aperto il primo negozio nell’ex fabbrica del vermouth Carpano.
Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, che ha messo Chiamparino in contatto con Oscar Farinetti.
E lo stesso Farinetti che, durante un epico pranzo all’hotel Santa Vittoria di Alba a base di acciughe al burro e plin, ha rivelato all’ex sindaco del capoluogo piemontese la sua volontà: aprire in città “la vetrina delle eccellenze gastronomiche piemontesi”. Una storia, quella della nascita di Eataly, che Bonomi ha definito “appassionante.
Chiamparino propose a Farinetti, che aveva da poco venduto la catena Unieuro, 3 altri siti di Torino dove realizzare la sua idea.
Eataly sarebbe potuta nascere a La Cavallerizza Reale in centro storico, al Palazzo Nervi nel quartiere Nizza-Millefonti, o alle Ogr (Officine Grandi Riparazioni) in Corso Castelfidardo.
Ma l’imprenditore di Alba ha scelto l’ex stabilimento del Punt e Mes nonostante all’epoca fosse poco più di un rudere.
I risultati di Eataly Torino nei primi anni sono stati entusiasmanti, lo ha riconosciuto lo stesso Andrea Bonomi.
Sia i torinesi che i turisti gourmet in arrivo da tutta Italia si mettevano in fila per comprare le specialità delle regioni italiane. O per entrare nella caverna del piano interrato dove scoprivano i salumi delle meraviglie.
Dove si trova Eataly
Nel 2010 Eataly è sbarcata a New York, con un mega negozio aperto sulla 5th Avenue.
Ma il negozio più grande è arrivato due anni dopo, a Roma, in un’area di 16.000 mq dell’ex stazione Ostiense con mercato, ristoranti e aule per la didattica.
Il negozio Eataly a Milano nell’ex Teatro Smeraldo, come hanno raccontato Farinetti e Bonomi, diventerà il più redditizio tra quelli aperti in Italia.
Il 2017 è l’anno di Fico, il parco del cibo aperto fuori Bologna dai risultati economici poco brillanti.
L’anno scorso ha aperto il primo negozio nel Regno Unito. Nei 4.000 metri quadri si trovano mercato, 4 ristoranti, 3 bar, 5 laboratori di produzione, una grande cantina per i vini, una scuola di cucina, e una novità: l’area dei prodotti sfusi.
Oltre a queste che sono le principali, il marchio Eataly campeggia in molte altre città italiane e non, cosa che ha ingolosito il fondo Investindustrial di Andrea Bonomi.
Toronto, Boston, Dallas, Chicago, Los Angeles, Tokyo, Doha, Mosca, Istanbul, Genova, Firenze, Piacenza, solo per citarne alcune e, tra pochi giorni, Verona.
Come cambierà Eataly da ora in poi
Cambierà molto, soprattutto in Italia.
La cosa più temuta dai soci storici del gruppo, le famiglie Farinetti e Baffigo-Miroglio, è lo spostamento del baricentro del gruppo fuori dal Piemonte.
Il fondo di private equity di Bonomi investirà in Eataly una cifra nell’ordine di 350 milioni di €, tra aumento di capitale da 200 milioni e acquisto di una parte delle quote di Farinetti.
Cosa ci farà?
Bonomi ha rivelato di aver già preso in considerazione Eataly, ma in passato costava troppo e poi la condizione imprescindibile era ottenere la maggioranza.
Per Bonomi è fondamentale gestire Eataly scegliendo una guida capace di affrontare i numeri con piglio manageriale e di adattare il modello di business alla situazione contingente.
Eataly manterrà il debito con Sace, viste le condizioni ottenute, molto favorevoli. I debiti restanti verranno azzerati, inoltre la società acquisirà il 40% di Eataly Usa, oggi in mano a Joe Bastianich e alla famiglia Saper.
Il modello Autogrill
Ma per Bonomi migliorare il modello di business di Eataly significa prendere come riferimento Autogrill.
Capitali e logistica di Investindustrial serviranno a puntare sulla ristorazione, con l’arrivo nelle aree di servizio delle autostrade e negli aeroporti.
Una direzione già intrapresa se si pensa a “Eataly per Autogrill”, nell’area di servizio di Secchia Ovest lungo l’A1, tra l’allacciamento con l’A22 e il casello di Modena Nord. Primo e unico caso, finora, di collaborazione tra le due aziende.
Senza dimenticare il debutto di Eataly in aeroporto, con una grande area ristoro, avvenuto il 15 maggio scorso nel Terminal 1 dell’aeroporto Leonardo Da Vinci a Fiumicino.
Altro capitolo importante: accelerare lo sviluppo in America e sbarcare in Cina.
Gli investimenti del fondo di Bonomi permetteranno l’apertura di nuovi negozi Eataly come li conosciamo.
Ma debutterà negli Stati Uniti un nuovo formato, che forse vedremo anche in Italia, più contenuto nelle dimensioni rispetto ai megastore di Roma e Milano.
I negozi, chiamati “Casa Eataly”, verranno aperti nelle città più piccole. Simili per superficie e spirito ai negozi “La Esse” di Esselunga.
Bonomi ha lasciato intendere che anche all’estero Eataly andrà alla conquista degli aeroporti.
Una mossa già riuscita a Autogrill per mezzo della controllata Hms Host, leader americano nel settore della ristorazione per i viaggiatori.
Andrea Cipolloni il nuovo ad nella Eataly di Bonomi
Il 22 settembre Andrea Cipolloni, classe 1968, ha annunciato le proprie dimissioni dal ruolo di ceo Europe Italy di Autogrill, dove era entrato nel 1991.
Ancora non è ufficiale ma sarà proprio il manager di Viterbo a guidare la catena aperta nel 2007 con il primo negozio di Torino.
Bonomi e Farinetti lo hanno scelto perché con l’esperienza accumulata nel settore lavorando a lungo in Autogrill potrà essere molto utile a Eataly.
Al suo fianco ci sarà Nicola Farinetti, fino a qualche giorno fa ad della catena di negozi fondata dal padre, che diventerà presidente del gruppo.
Almeno lui, nel segno della continuità con il padre Oscar, fondatore di Eataly ma non più socio di maggioranza della sua creatura.