
Chiude Settimio a Roma, ma riapre Vignoli di Cesare al Casaletto. Settimio, la storica trattoria di via del Pellegrino, da non confondersi con Settimio all’Arancio, ha chiuso. Notizia che era nota da qualche mese, ma che ora viene ripresa dai media nazionali, anche sulla scorta di una serie di tweet luttuosi di personaggi più o meno noti.
Il direttore de La7, Andrea Salerno, ha postato un’immagine del locale chiuso: «Mario e Teresa hanno mollato. Un pezzo di Roma che se ne va. b». Son seguite decine di reazioni addolorate, se non affrante, tra le quali addirittura quelle dell’editore Urbano Cairo che ha scritto: «Peccato!». E in effetti Settimio è un pezzo di storia di Roma che se ne va e non si può non provare una fitta al cuore. L’ambiente spartanissimo, con un grande affresco entrando a destra, con la locandina di Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno. Non un caso, perché Mario Monicelli scelse proprio l’oste Mario Zazza per recitare. Insieme alla moglie Teresa hanno gestito quest’osteria storica per molti decenni (era stata aperta nel 1932 dal padre di Mario). Ora a 81 anni è arrivato il momento di andare in pensione.
Restano i ricordi di questo posto, amatissimo dagli attori, come Alberto Sordi e lo stesso Monicelli, ma anche da Renato Guttuso e Fabrizio Bentivoglio. Negli ultimi anni ci si poteva incontrare spesso anche Mario Verdone. Ma poi da Settimio ci finivano tutti, compresi i turisti giapponesi. Mario non parlava, ovviamente giapponese, ma neanche inglese. E quando arrivava qualcuno che non capiva e che non gli andava a genio, finiva inevitabilmente in un tavolo laterale.
Riportiamo l’incipit del nostro articolo, che risale al 2009, che può dare un’idea: “Per entrare devi suonare il campanello, come in gioielleria. Solo che quando entri ti trovi in un locale spartano, piccolo, tranquillo. Ad accoglierti di solito c’è lui, Mario Zazza di Carpineto, in camicella di seta. Se la manciata di tavolini dietro di lui è deserta e ti dice che è tutto prenotato, guardatevi: siete in canottiera. Oppure avete le ciabatte ai piedi. E’ che a Mario Zazza i piedi nudi non piacciono e neanche quelli mezzi nudi. Superato lo screening corporale, potete accomodarvi. Se siete clienti nuovi e sconosciuti, finirete nei primi tavoli, quelli vicino all’entrata. Altrimenti, a secondo del grado di conoscenza e assiduità, sarete ammessi ai tavoli più vicini alla cucina (ma non al più vicino, riservato ai figli)”.
Al campanello della porta chiusa di Settimio hanno suonato generazioni di romani. Gli ultimi anni andare da Settimio era più che altro un atto d’amore. Mangiare, non si mangiava più granché bene. Come è inevitabile. Però vedere in menu le patate bollite e la mela cotta era quasi commovente.
Secondo il Corriere, a dare il colpo di grazia, dopo la pandemia, è stato il rincaro delle bollette. Possibile, ma certo l’età avanzata non consentiva più di gestire un locale così importante. A chi già si straccia le vesti pensando che nascerà qualche pokè o qualche locale trendy, possiamo dire che non sarà così. Perché il locale è stato rilevato da Leonardo Vignoli, l’oste di una delle migliori trattorie della città, Cesare al Casaletto.
Certo, non ci sarà più la mela cotta, non ci sarà più quell’atmosfera di una volta, ma la qualità è garantita. Ma la nostalgia è una moneta che funziona sempre, magari unita a un allarme sulla crisi del settore: “È l’ennesimo caso di chiusura che porta uno strascico nostalgico – scrive il Corriere – La città che cambia, va da sé, lascia indietro qualcosa. La desertificazione commerciale colpisce soprattutto i quartieri del centro”. In realtà, i ristoranti hanno subito molti contraccolpi dalla crisi, ma non si può certo parlare di desertificazione. Noi rimpiangeremo la nostra giovinezza e quei pranzi frugali da Settimio, ma si va avanti, per fortuna, e non tutto è perduto. Confidiamo in Leonardo, nel suo amore per i vini e nella sua passione.