Carceri, intercettazioni, carriere separate
Enzo Maraio — 12 Febbraio 2023
Il discorso di insediamento del Ministro Nordio aveva riacceso le speranze di quegli italiani che considerano la giustizia uno strumento di garanzia e non di repressione. Il caso Cospito e le posizioni assunte sulle restrizioni detentive previste dal 41 bis ci hanno fatto precipitare nuovamente sul terreno scivoloso di una insopportabile deriva giustizialista, che la destra al governo continua a sostenere. E lo fa in ragione di una tradizione culturale difficile da sradicare. Per dirla con le parole del sottosegretario Isabella Rauti: “Le radici non gelano”.
Del resto, cosa sia stato il fascismo lo ha spiegato molto bene Benigni dal palco dell’Ariston. In prima serata, davanti al presidente Mattarella, in piena era Meloni con la seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, che quando si sentì definire “fascista” rispose: “andiamoci piano con i complimenti”. Ed è in questo clima che annega il vero senso di giustizia. Quello che il deputato Giovanni Donzelli ha trasformato nella perfetta messa in scena forcaiola quando, in Aula, ha considerato un inchino alla mafia la visita in carcere ad Alfredo Cospito di alcuni parlamentari. E che senso di giustizia c’è nell’atteggiamento che Meloni ha assunto sull’indecoroso spettacolo tra Delmastro e Donzelli in merito alla fuoriuscita dal Dap dei documenti riservati riguardanti i colloqui di Cospito? Silenzio.
Non solo della premier, che pure deve garantire tutti gli Italiani e non solo chi l’ha votata. Ma anche del ministro Nordio, dal quale ci saremmo attesi quanto meno una presa di posizione. La verità è che l’ex magistrato di oggi non è più quello di qualche mese fa. Quello che credeva davvero in una giustizia giusta. Si deve riconoscere che un senso diffuso ed equilibrato della giustizia, nel nostro Paese, non c’è. Manca un’idea comune di quali siano i limiti entro i quali debba muoversi chi amministra la giustizia: dal legislatore, alla magistratura, alla forza pubblica. Eppure fare giustizia è trovare un equilibrio tra contrapposti interessi, aspettative e diritti. Ecco perché crediamo che la sinistra non possa che affermare una cultura della giustizia in cui i diritti e le libertà individuali vadano garantiti sempre fino in fondo.
Ecco perché abbiamo sempre combattuto tutte le battaglie per una giustizia più giusta e più umana; ecco perché vogliamo che i magistrati dell’accusa abbiano una carriera separata da quella dei giudici; ecco perché vogliamo che le intercettazioni telefoniche cessino di essere uno strumento di demolizione gratuita della vita delle persone a fini di carriera. Oggi più che mai occorre ridare alla giustizia la sua dignità e riportarla vicino ai cittadini. Bisogna costruire una giustizia veloce, perché la lungaggine dei processi non diventi essa stessa condanna; giusta, perché rispettosa della presunzione di innocenza; e vicina, perché ogni cittadino dovrebbe avere il diritto ad un Tribunale di prossimità, invertendo le scelte e gli errori commessi negli ultimi anni nel rimodulare la geografia giudiziaria. E se è vero che le parole hanno un peso, è ancora più vero che se vengono amplificate in un palco nazional popolare come quello del Festival di Sanremo, assumono maggiore valore.
Sono condivisibili le parole che Francesca Fagnani ha pronunciato da lì. “(…) in Italia, salvo qualche bella eccezione, la prigione serve solo a punire il colpevole. Non serve a rieducare né tantomeno a reinserire nella società”. E ancora: “Faremo in modo che chi esce dal carcere sia meglio di come è entrato. Sarà un fallimento per tutti e se non ci arriviamo per civiltà, per umanità per rispetto dell’articolo 27 della Costituzione, arriviamoci per egoismo. Conviene a tutti che quel rapinatore, che quello spacciatore una volta fuori cambi mestiere”. E’ il segnale che finalmente, la nostra voce – e quella di pochi altri, tra partiti e giornalisti – sull’esigenza di considerare prioritaria la dignità degli individui in carcere, non resterà isolata. Noi vogliamo costruire una sinistra che sappia sensibilizzare i cittadini a questa cultura della giustizia. E lavoriamo perché la scelta di questa cultura sia radicata nella società. Non è mai troppo tardi.
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