Economia
Antonio Lamorte — 21 Febbraio 2023
Da tempo se ne discute, mai era stato condotto però un test così ampio. Sono incoraggianti i risultati dello studio sulla settimana lavorativa di quattro giorni condotta in Regno Unito. Lo studio ha concluso che la riduzione dell’orario lavorativo diminuisce lo stress di chi lavora, abbatte il burnout, aumenta la qualità del tempo libero e non intacca la produttività aziendale. Risultati incoraggianti che però vanno presi con le pinze, e per diverse ragioni per osservatori ed esperti. La Cisl già propone di adottare il modello in Italia.
Lo studio è stato condotto dall’organizzazione no profit 4 Day Week Global e dal centro studi britannico Autonomy. È stato pubblicato oggi, ha coinvolto 2.900 dipendenti nell’arco di sei mesi, da giugno a dicembre 2022, su aziende di diverso tipo. 61 in tutto. Il gruppo di ricerca ha coinvolto l’università di Cambridge e di Salford nel Regno Unito, la University College Dublin in Irlanda e la Libera Università di Bruxelles e il Boston College, nel Massachusetts, Stati Uniti.
Le aziende coinvolte sono state preparate con due mesi di workshop e incontri. Il requisito per partecipare allo studio era che venisse ridotto il monte ore di lavoro conservando lo stesso stipendio. La maggior parte delle società ha comunque optato per quattro giorni consecutivi lavorativi e tre liberi: il venerdì libero insomma, weekend lungo. I risultati sono stati raccolti a partire dai dati forniti dalle stesse aziende a da interviste ai dipendenti delle stesse.
Sorprendente il risultato dei fatturati: secondo lo studio durante tutto il periodo di prova le entrate economiche sono rimaste sostanzialmente invariate, anzi sono salite con un aumento medio dell’1,4%. Dopo un confronto con il fatturato di sei mesi con settimana lavorativa da cinque giorni, è emerso un aumento medio del 35% del fatturato. Il 39% dei dipendenti è risultato meno stressato, il 71% ha visto ridotto il proprio livello di burnout. Diminuiti i problemi di ansia, stanchezza, sonno.
Abbattuta anche la richiesta di permessi: del 65%. È calato del 57% il numero di dipendenti che ha deciso di lasciare il posto. Il 15% degli stessi ha dichiarato di essere disposto a guadagnare meno pur di non tornare alla settimana di cinque giorni. Ha fatto un salto di qualità anche il rapporto tra gli impegni lavorativi e quelli personali dei dipendenti: il 54 per cento degli intervistati ha raccontato del netto miglioramento nel conciliare il lavoro con gli impegni familiari e di cura, il 62% il lavoro con la propria vita sociale. La maggior parte delle aziende coinvolte ha deciso di non tornare alla settimana lavorativa di cinque giorni: 56 su 61. Se alcuni esperti hanno suggerito di non prendere alla lettera i risultati, è perché la maggior parte delle aziende coinvolte sono di piccole dimensioni e già intenzionate a investire nella settimana corta. Le conclusioni non possono quindi tenere conto di aziende di grandi dimensioni.
Per Joe Ryle della 4 Day Week Gloval lo studio è un “importante momento di svolta”. I risultati saranno presentati alla Camera dei Comuni britannica. In Italia la Cisl ha proposto di adottare la settimana corta. “Posto il successo della sperimentazione in Regno Unito, serve un confronto tra le parti sociali. È tempo di regolare il lavoro soprattutto nel settore manifatturiero in modo più sostenibile, libero e produttivo. Si potrebbe cominciare — ha dichiarato Roberto Benaglia, segretario generale dei metalmeccanici della Fim Cisl — in pochi stabilimenti per capire la portata dell’intervento e le esigenze dei lavoratori, elaborando una formula su misura che tenga conto anche dei picchi di produzione delle imprese”.
Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
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