Domino’s Pizza Italia ha avviato le procedure per il fallimento della sua catena di pizzerie. In pochi anni, era arrivata a 29 locali in varie città, fra cui Milano e Torino. 23 gestiti direttamente dal Master Franchisee italiano EPizza Spa, 6 in sub-franchising.
Al momento del fallimento, i locali Domino’s Pizza erano 27, di cui 3 in affitto e 13 in sub-franchising
Domino’s Pizza quindi chiude i battenti, come già, qualche settimana fa, Gorillas, il servizio di delivery di prodotti alimentari. Entrambi multinazionali di grande successo.
L’istanza di fallimento evidenzia come Domino’s Pizza sia arrivata alla chiusura principalmente a causa della pandemia da Covid-1. Contrazione del fatturato, con conseguente esposizione finanziaria, e concorrenza. Nonostante il CEO Alessandro Lazzaroni a inizio 2020 parlasse di 880 nuove aperture entro il 2030.
Previsione ottimistica, purtroppo. Dal 20 luglio tutti i negozi italiani hanno chiuso.
Il primo locale italiano aveva aperto il 5 ottobre 2015, quasi 7 anni fa. In periferia a Milano, zona Bisceglie, seguendo la linea del brand. Che si basa su pizzerie di quartiere, popolari, per un servizio a domicilio “sulla porta di casa”. Pizze sottili (e quindi, per definizione, non napoletane), prodotti italiani selezionati, per un prodotto tutto sommato buono.
Nelle filiali italiane la carta delle pizze prevede (anzi, a questo punto, prevedeva) due serie.
- Italian Traditional, che si attiene agli ingredienti della tradizione italiana.
- Domino’s Legend, che comprende reinterpretazioni americaneggianti. Su tutte, la Pepperoni Passion e la Hawaiana.
Perché hanno chiuso Domino’s Pizza e Gorillas
Il fallimento di Domino’s Pizza e quello di Gorillas presentano molti tratti in comune.
Il primo, lo abbiamo scritto, la pandemia. Il Covid-19, con le relative restrizioni, ha determinato una vistosa contrazione delle vendite. Ma ha anche aumentato la concorrenza. Molti esercizi sono scesi in campo con i propri delivery. E a loro si sono aggiunte le piattaforme come Deliveroo, Uber, Just Eat.
A questo va aggiunta, per quel che riguarda Gorillas, la diretta concorrenza dei supermercati, Esselunga in primis, con i propri e-shop.
Più in generale, a determinare il fallimento di Domino’s Pizza sono state proprio le peculiarità del mercato italiano. A differenza di altre realtà europee, la GDO, anche grazie ai negozi di prossimità, copre gran parte del territorio. E in Italia mancano le grandi concentrazioni urbane, habitat ideale per questo tipo di imprese.
La sostanziale riduzione dei ricavi di ePizza ha generato una sofferenza di cassa. La conseguente crisi di liquidità ha influito sui costi gestionali comunque elevati. A cui va aggiunta la contrazione dei ricavi dei suoi sub-affiliati.
Comunque ePizza, per fronteggiare l’ipotesi di fallimento di Domino’s Pizza, aveva già attuato una serie di procedure già dagli ultimi mesi del 2020. A partire, come dichiarato nell’istanza del Tribunale, 1 aprile 2022, da una riorganizzazione dei punti vendita e della struttura organizzativa. Tutto ciò finalizzato alla riduzione dei costi.
La procedura di composizione negoziata adottata da Domino’s le avrebbe permesso di proseguire lungo questo percorso. E di conseguenza di salvaguardare il patrimonio aziendale. In modo, prosegue il documento del Tribunale, da assicurare la continuità di Domino’s Pizza. Anche in forma indiretta, dopo l’eventuale fallimento.
Chiusi i locali: e i dipendenti?
Intanto, ripetiamo, i Domino’s di tutta Italia sono chiusi.
Ultimo dato da considerare, è quello relativo al personale. Un paio di centinaia di persone, forse di più, senza lavoro. Ma che, immaginiamo e speriamo, potranno essere rapidamente riassorbite dal mercato. Vi abbiamo più volte segnalato la perdurante mancanza di lavoratori nella ristorazione.
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