Pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
Poche settimane fa, a cavallo tra luglio e agosto, il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez, accompagnato dal direttore del Dipartimento UE presso la Presidenza del Consiglio spagnola Aurora Mejia, ha svolto una visita ufficiale in 5 paesi dei Balcani occidentali: Serbia, Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord, Montenegro e Albania. Nella regione la Spagna era stata attiva sul piano diplomatico e della sicurezza durante tutto il periodo delle guerre jugoslave, partecipando alle missioni militari ONU in ex-Jugoslavia e Albania, ma nel periodo immediatamente successivo aveva ridimensionato il suo ruolo, ritirando anche gli effettivi dalla forza NATO KFOR in Kosovo e non aderendo al Processo di Berlino (che stimola la cooperazione tra i paesi dell’area).
Madrid ora avrà la presidenza UE nel secondo semestre 2023 e il recente tour di Sanchez aveva l’obiettivo di rendere visibile il sostegno spagnolo al perseguimento del percorso verso le istituzioni di Bruxelles dei paesi visitati ed è avvenuta pochi giorni dopo l’avvio materiale dei negoziati d’adesione con Albania e Macedonia del Nord.
Il viaggio di Sanchez ha volutamente escluso il Kosovo, ex-regione jugoslava a maggioranza albanese staccatasi dalla Serbia nel 2008 per costituirsi in stato indipendente. È infatti uno dei paesi UE (gli altri sono Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro) che non lo riconosce. Da 11 anni l’Ue media un dialogo tra le più alte autorità politiche serbe e kosovare. Il più importante risultato del dialogo sussiste nella perpetuità di contatti tra le parti, utile a evitare possibili tensioni, peraltro riemerse proprio mentre si svolgeva il tour di Sanchez.
Integrità territoriale
La questione kosovara, comunque, è stata toccata dal primo ministro iberico nelle uscite pubbliche con i suoi interlocutori a Belgrado e Tirana. Accanto al presidente serbo Aleksandar Vučić ha dichiarato che Madrid e Belgrado sono unite dalla convinzione della “necessità di garantire il rispetto del diritto internazionale e l’integrità sovrana degli stati, la loro integrità territoriale. Questa è la ragione per cui noi sosteniamo la Serbia nelle questioni riguardanti il Kosovo. La Spagna è stata e continuerà a stare al lato della Serbia nella difesa di questi principi, appoggiando sempre il dialogo tra le parti”.
In Albania, paese alleato di Pristina nella impegnativa campagna di riconoscimento internazionale di quest’ultima, al termine dell’incontro con l’omologo Edi Rama Sanchez è stato al pari esplicito: “Una dichiarazione unilaterale d’indipendenza, come si è avuta – nella opinione legittima del governo spagnolo, del tutto rispettosa della opinione di governo e popolo albanese – viola, dal nostro punto di vista, il diritto internazionale e per questo non possiamo essere favorevoli al riconoscimento del Kosovo”. La Spagna rimane coerente nel disconoscimento di tutte le realtà internazionali giudicate da essa come separatismi unilaterali: ha ufficialmente reso noto che non ostacolerebbe una eventuale richiesta di unirsi all’UE di una Scozia indipendente solo se questa indipendenza fosse stata raggiunta in accordo con le autorità centrali del Regno Unito. Nel caso del Kosovo, la Spagna riconoscerebbe la statualità kosovara come conforme al diritto internazionale solo se accettata da Belgrado. Fedele a questa linea, in Asia il paese iberico ha riconosciuto l’indipendenza di Timor Est dall’Indonesia ma – pur mantenendo sull’isola un ufficio consolare distaccato – non riconosce Taiwan, impegnata in un braccio di ferro separatista con la Cina.
Dal 2010 fino al 2020, quando Sanchez partecipò ad un vertice online UE–Balcani Occidentali dove era rappresentato anche il Kosovo, Madrid rifiutava qualsiasi contatto diplomatico anche indiretto con Pristina. La Spagna non ha un ufficio di rappresentanza nella capitale kosovara (come hanno aperto, invece, Grecia e Slovacchia, che “de jure” non riconoscono la giovane repubblica). La posizione ufficiale di Madrid nei riguardi del Kosovo, costante di tutti i governi spagnoli e della quasi totalità dei partiti politici nazionali dal 2008, è spiegata primariamente dalla persistenza del separatismo dentro i confini della Spagna nei Paesi Baschi e soprattutto Catalogna e dalla paura del contagio che il riconoscimento potrebbe trasmettere in esse. I partiti separatisti di queste due regioni spagnole si dichiararono a favore della proclamazione d’indipendenza kosovara.
Nel 2016 la Commissione Affari Esteri del Parlamento iberico ha rigettato una mozione richiedente il riconoscimento del Kosovo presentata dal partito regionale catalano Esquerra Republicana de Catalunya (ERC). Caso eclatante, nel 2018 il predecessore di Sanchez Mariano Rajoy rifiutò di partecipare a Sofia al vertice UE–Balcani Occidentali proprio per la presenza del Kosovo. Recentemente al Parlamento europeo, durante una discussione sull’allargamento conclusasi con un voto a sostegno della liberalizzazione dei visti d’entrata per i cittadini kosovari nell’UE, l’eurodeputato spagnolo Jordi Solé ha definito “assurdo” il non riconoscimento di Pristina da parte di 5 paesi membri dell’Unione”.
Scarsa presenza nei Balcani occidentali
L’approccio alla situazione del Kosovo ha chiaramente un impatto sulla scarsa presenza della Spagna nei Balcani occidentali, come sottolineato in un report di fine 2021 del centro studi Real Instituto Elcano finalizzato alla esplicitazione di modalità per rendere più proattivo l’approccio spagnolo nell’area. Gli autori dell’analisi consigliano “la normalizzazione della presenza in Kosovo in modo tale che la Spagna venga vista come neutrale nel conflitto sulla statualità”. Nell’area la Spagna mantiene relazioni commerciali stabili solo con la Serbia, con la quale l’interscambio bilaterale ha toccato 811.4 milioni d’euro l’anno scorso. Tra le raccomandazioni del report ci sono l’implementazione nella regione di legami più stretti: diplomatici, con l’apertura di uffici in Montenegro e nello stesso Kosovo; culturali e della società civile ed economici, a partire dalla possibilità di intervento nel mercato nelle energie rinnovabili sulla scia del piano d’investimenti UE.
Accanto allo spazio ex-sovietico, anche grazie alle mai sopite tensioni riguardanti il Kosovo, i Balcani occidentali rimangono la zona più calda d’Europa. Le recenti violenze nella “guerra delle targhe” hanno dimostrato il potenziale esplosivo della questione kosovara se una mancata normalizzazione reciproca tra Belgrado e Pristina e lo stato d’agitazione dei serbi nel Kosovo del Nord dovessero persistere. Il Kosovo intende presentare ufficialmente la richiesta di adesione nell’UE entro la fine del 2022. Nel caso accadesse la Spagna si troverà a gestire la questione durante la sua presidenza dell’Unione l’anno prossimo e sarà quindi obbligata a relazionarsi in modo più stringente con il Kosovo ed in generale ad essere più coinvolta nelle dinamiche dell’area balcanica.