Il grido delle associazioni
Umberto De Giovannangeli — 14 Settembre 2022
Erano alla deriva da oltre 10 giorni. Avevano lanciato Sos sempre più disperati. Ma nessuno li ha raccolti. Le 6 vittime dell’ultimo terribile naufragio terminato al molo di Pozzallo sono state gettate in mare dai 26 compagni superstiti, in un viaggio interminabile durato più di 10 giorni durante il quale – per evitare i miasmi dei cadaveri in putrefazione e alleggerire il peso del barchino, tanto piccolo da non fornire alcun riparo – se ne sono dovuti sbarazzare: tre donne, due bambini di 1 e 2 anni e un ragazzino di 12 anni morti di fame, di sete e di disperazione nel XXI secolo, nella traversata della speranza attraverso il Canale di Sicilia.
«Impressionante lo stato di disidratazione e debolezza di tutti i migranti che faticavano a mantenere la stazione eretta – dice Roberto Ammatuna, sindaco di Pozzallo – Oltre al grave stato di disidratazione, si evidenziava anche un’eccessiva desquamazione cutanea da probabile esposizione al vento, al sole e al mare. Una migrante è stata trasportata in ospedale, tutti gli altri sono stati immediatamente rifocillati e idratati a Pozzallo. L’immagine terribile era paragonabile a quella dei sopravvissuti nei lager nazisti. Un orrore senza fine – conclude -, inaccettabile assistere a questa terribile disumanità». «Accogliamo con profondo sgomento questa nuova tragedia che vede ancora una volta i bambini vittime dell’indifferenza. Chi scappa da conflitti, violenze e povertà estreme non può continuare a perdere la vita nel Mediterraneo. Rinnoviamo ancora una volta l’appello alle istituzioni italiane e dei Paesi europei per la creazione di un sistema strutturato e coordinato di ricerca e soccorso in mare e per l’attivazione di canali sicuri e legali di accesso. Inoltre, è necessario garantire che le navi che operano nel Mar Mediterraneo, anche mercantili o di organizzazioni non governative, non incontrino alcun ostacolo quando soccorrono e sbarcano le persone in difficoltà». Lo dichiara Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro, commentando la notizia della morte di 6 persone, tra cui bambini, adolescenti e donne, su un barcone giunto a Pozzallo.
Save the Children, nell’ambito del suo impegno in frontiera a sostegno dei bambini con le famiglie e dei minori soli che arrivano via mare, in collaborazione con Unicef, è presente all’hotspot di Pozzallo per l’assistenza e la protezione dei sopravvissuti. «Il Mediterraneo torna ad essere una tomba, un cimitero, questa volta di due bambini in fuga annegati, insieme a un giovane e a due adulti». Lo denuncia Migrantes, la Fondazione della Cei presieduta da mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara. «Erano siriani e nessuno – osserva Migrantes – può negare che avevano diritto alla protezione internazionale. Non sappiamo ancora se esiste un legame familiare tra queste persone. Immagini drammatiche che chiedono un rinnovato impegno e non un blocco delle azioni di salvataggio in mare; chiedono un’azione congiunta tra le navi di soccorso delle Ong e le navi e gli aerei militari dei Paesi europei; chiedono un’azione europea in Libia per prevedere canali umanitari e legali per chi abbia diritto a una forma di protezione internazionale. Troppe parole si spendono mentre troppi morti si accumulano in fondo al mare. La Fondazione Migrantes auspica da subito un permesso di protezione internazionale per i 26 sopravvissuti; un rinnovato impegno politico e civile a favore di chi chiede e ha diritto a una protezione internazionale, perché questo diritto non finisca in fondo al mare, negato, con nuove vittime innocenti. Una democrazia non può accettare che diritti fondamentali, come il diritto d’asilo, siano calpestati e ignorati».
La richiesta all’Europa è di predisporre «un dispositivo di ricerca e soccorso in mare» ed «evitare ritardi eccessivi nell’assegnare i porti. Va trovata, in maniera dialogante, una via che possa essere sostenibile. Il fatto di ritardare il permesso agli sbarchi, se non è dovuto a motivi tecnici, è solo una cattiveria gratuita, visto che prima o poi li fanno sbarcare». Anche la Comunità di Sant’Egidio chiama in causa la comunità internazionale. L’Europa, in particolare, che «non può voltare le spalle di fronte a migranti che muoiono di fame e di sete, far finta di niente, accettare questi eventi come “normali”, quasi un prezzo da pagare per continuare a illudersi che il problema non riguardi anche noi». L’invito, al contrario, è ad «agire con urgenza: salvare, prima di tutto, in mare, senza rimpallarsi accuse tra Stati sul controllo delle acque territoriali. Ma anche trovare soluzioni, che riguardano il modello dei corridoi umanitari (che mette insieme l’accoglienza con l’integrazione), quote di reinsediamento per i profughi richiedenti asilo e ingressi regolari per motivi di lavoro (di cui l’economia italiana ha estremante bisogno). Stare a guardare non solo è colpevole – proseguono – ma nuoce a tutti perché divora il futuro del nostro continente, che crediamo possa e debba trovare le energie per reagire a tanta disumanità».
Le tragedie del mare «sono tutte terribili ma non sono tutte uguali – evidenziano ancora da Sant’Egidio -. Quelle di questi giorni, con la morte di alcuni bambini e dei loro genitori per fame e sete, raccontano di una vera e propria tortura subita da vittime innocenti di situazioni insostenibili che costringono alla fuga dal proprio Paese: le guerre, i disastri ambientali, il terrorismo, la negazione di un futuro vivibile. Sempre peggio perché i viaggi sono sempre più difficili e rischiosi, le rotte più lunghe e complicate per sperare di sopravvivere. Quella che impone ai migranti che partono dal Libano di puntare verso la lontanissima Italia, perché i confini europei più vicini a loro sono off limits, è inaccettabile», concludono.
Per Oliverio Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana, «la modalità con cui sono morti questi bambini ha un tratto simbolico. Dà la dimensione di quello che sta accadendo: oggi, nel 2022, vedere nel Mediterraneo, alle porte dell’Europa, dei bambini che muoiono di sete e di stenti è qualcosa di insopportabile dal punto di vista emotivo e assurdo per l’assenza di risposte e diverse richieste di aiuto rimaste inascoltate». “La classe politica, tutta, deve dire nettamente che i bambini e le bambine non possono morire in mare” chiede il portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini. “I partiti lascino per un giorno l’agenda – aggiunge – e pensino che tragedie atroci come questa, che avvengono da anni, non possono essere tollerate. Riteniamo necessario rafforzare il soccorso in mare perché è un modo fondamentale per evitare morti come queste”. Un appello caduto nel vuoto. Per la politica, tranne rare eccezioni, vivi i migranti sono un problema. Da morti, l’effetto collaterale dell’esternalizzazione delle frontiere. E poi ci si chiede perché di questa politica disumana, e dei suoi rappresentanti, i giovani si dicono disgustati.
Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.
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