L’Europa continentale, che viene superficialmente identificata nell’Unione europea, possiede anticorpi che le consentono di ostacolare l’instaurazione al suo interno di regimi autoritari e fascisti come quello che si impose con i colonnelli in Grecia dal 1967 al 1973 o come quelli che resistettero con la violenza al potere in Portogallo e in Spagna fino alla metà degli anni Settanta.
Con l’eccezione dei regimi autoritari in Russia di Vladimir Putin e in Bielorussia di Aljaksandr Lukashenko, la democrazia «liberale» sembrerebbe dunque prevalere sul continente europeo se dobbiamo fidarci della «foto di famiglia» della cosiddetta Comunità Politica Europea che si è riunita a Praga il 6 ottobre in una discutibile composizione di quarantaquattro Paesi facendo evaporare l’idea iniziale di Emmanuel Macron di un laboratorio di trentasei leader fra Paesi dell’Unione europea e Paesi candidati o candidati alla candidatura.
Non possiamo tuttavia attribuire la patente di democrazia «liberale» all’Ungheria e alla Polonia che si sono autoproclamate «democrazie illiberali» violando alcuni principi fondamentali dello stato di diritto come l’indipendenza della magistratura o la non-discriminazione fra i cittadini o il pluralismo della stampa.
Non possiamo ancor di più attribuire la patente di democrazia «liberale» alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan e all’Azerbaijan di Ilham Heydar Aliyev dove sono al potere autocrazie illiberali che impediscono, più a Baku che ad Ankara e Istanbul, all’opposizione di esercitare la loro funzione di vigilanza democratica.
Con queste rilevanti eccezioni su cui gli anticorpi europei non hanno potuto impedire l’estensione delle metastasi autoritarie, è difficile immaginare che il risultato elettorale di partiti di estrema destra in molti paesi dell’Unione europea – soprattutto al Nord, al Centro e all’Est – possa involvere in una «marcia» per la conquista totalitaria del potere e l’instaurazione di regimi fondati prevalentemente sull’ideologia fascista o – come si dice con falso e grottesco pudore – neofascisti o post-fascisti.
Le elezioni legislative in Italia il 25 settembre hanno rappresentato una eccezione nelle eccezioni perché ha prevalso con il ventisei per cento dei voti espressi e il sedici per cento degli aventi diritto il partito Fratelli d’Italia le cui radici ideologiche e il cui nucleo sociale di militanti anche nelle giovani generazioni è legato al Movimento Sociale Italiano e a dirigenti come Giorgio Almirante (animatore nel 1938 della rivista La difesa della razza), Pino Rauti e Pino Romualdi ma anche Ignazio La Russa che non hanno mai negato di voler rappresentare la continuazione del Partito Nazional Fascista.
L’ingresso a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni, che ha militato in gioventù in Azione Sociale e cioè nella corrente più estremista del Msi, nella stessa settimana in cui si ricorda il centenario della marcia su Roma alla fine di ottobre 1922 non prelude certamente – grazie agli anticorpi europei – ad una deriva autoritaria in Italia come quella imposta con la violenza da Benito Mussolini a partire dall’assassinio di Giacomo Matteotti il 10 giugno 1924 e la creazione del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato nel 1926.
La composizione del governo nel nome di alcuni ministri e nella denominazione di alcuni ministeri (la «natalità», l’istruzione non più «pubblica» ed associata al «merito», una «sovranità alimentare» non sostenibile, il «made in Italy», la marginalità della transizione ambientale rispetto alla produzione industriale nel quadro di una visione oscurantista della società e con la delega al ministero delle Infrastrutture del controllo sulla Guardia Costiera) insieme all’idea ossessivamente ricorrente della «nazione» ci dicono che il fondamento ideologico su cui si basa il nuovo governo è quello delle origini militanti di Giorgia Meloni e del nucleo «duro» storico dei dirigenti del suo partito che sono ora al vertice delle istituzioni.
Le iniziative promosse dal Movimento europeo insieme ad una ampia rete di organizzazioni della società civile nella settimana del centenario della cosiddetta marcia su Roma (L’Europa unita come risposta al fascismo e ai nazionalismi) hanno un significato non solo storico e pedagogico ma annunciano la volontà determinata di vigilare contro i rischi dei nazionalismi e del sovranismo che si manifestano nella «alleanza dell’Europa delle patrie» a danno degli interessi di un’Italia europea.
Vale la pena di citare qui l’ultimo discorso pubblico di François Mitterrand al Parlamento europeo il 17 gennaio 1995 quando disse:
«Il nazionalismo è la guerra: la guerra non è solamente il nostro passato ma può anche essere il nostro futuro e siamo, siete voi parlamentari europei i guardiani della nostra pace, della nostra sicurezza, del nostro futuro».
D’altra parte, le nostre iniziative di vigilanza saranno fondate nella strenua rivendicazione e promozione dei diritti – di tutti i diritti – che sono affermati nella Carta costituzionalmente vincolante dell’Unione europea.