Il ministro sotto attacco
Tiziana Maiolo — 21 Gennaio 2023
Carlo Nordio fa paura. Perché è poco politico e dice le cose come stanno. Perché le riforme sulla giustizia vuol farle davvero. Ma soprattutto perché è un ex pubblico ministero e conosce i suoi polli, cioè gli ex colleghi. Non ha paura in aula di Cafiero De Raho e Scarpinato. Ma neanche del procuratore di Palermo De Lucia che parla di ”borghesia mafiosa” o del principe dei blitz Nicola Gratteri che dice con sarcasmo abbiamo arrestato duecento presunti innocenti, irridendo alla riforma sulla presunzione di innocenza.
Lui non ha paura e quindi l’assalto nei confronti del ministro Nordio è ancora più violento di quello subito da Marta Cartabia. Non perché qualcuno dei suoi detrattori le abbia mai concesso qualche riguardo, di quelli che una volta si usavano nei confronti di una signora, perché al contrario la nota misoginia di quelli come Travaglio si era eccitata più del solito. Non per una questione di differenza di genere dunque, ma per semplici motivi politici. E per il fatto non secondario che un partito ormai privo di identità come il Pd e i suoi ispiratori del Movimento cinque stelle facevano parte della maggioranza che sosteneva il governo Draghi. Il che non impediva al vero capo dei grillini e direttore del Fatto quotidiano di insultare la ministra ogni giorno, chiamandola “guardagingilli” e definendo i suoi provvedimenti legislativi come “schiforma”. Ma quanto meno in quei giorni il Pd teneva alzato il freno a mano del dissenso, ridotto a qualche mugugno “interno”.
Ma il problema è sempre lo stesso, ieri come oggi, e si chiama corporazione dei magistrati, soprattutto della parte più reazionaria e controriformista cui appartengono alcuni dei più famosi procuratori. Cui va aggiunta la piccola combattiva truppa di quegli ex che non sopportano l’idea di essere pensionati e poi anche di quelli che sono transitati in Parlamento con i Cinque Stelle. Tutti costoro non vorrebbero cambiare mai niente, nell’amministrazione della giustizia, aggrappati come sono alla forza straordinaria che il mondo della politica ha regalato loro fin dai tempi di Mani Pulite. E stiamo parlando di trent’anni fa. Un tempo lungo quasi quanto la latitanza di Matteo Messina Denaro, anni durante i quali qualcosa però è cambiato, e almeno se ne parla. Al termine di un lungo commento su Repubblica ieri Stefano Folli lo ha detto esplicitamente. Sono proprio le ultime tre righe, ma sono anche quelle che ti rimangono in mente, al termine della lettura: “..nessuno può sottovalutare il potere vero della magistratura e la sua forza anche mediatica”. Il che vuol dire teniamone conto, non lo dimentichi neppure il ministro. Ma nello stesso tempo si mette anche in guardia il lettore dal fatto che in democrazia mai toghe e divise dovrebbero aspirare al potere, e men che meno afferrarlo anche quando viene loro servito su un piatto d’argento, come accaduto in Italia.
Ma viviamo in un paese in cui un direttore di giornale come Travaglio con gli ufficiali di complemento Gomez e Padellaro può addirittura permettersi di raccogliere le firme per far dimettere un ministro, oltre a tutto appena nominato. La cosa dovrebbe fare un po’ ridere, in quanto si tratta di firme del nulla, perché dovrebbero servire, un domani a promuovere un referendum abrogativo di riforme future. Campa cavallo, ma i furbini sanno bene che un po’ di tagliagole pronti al tifo da stadio per introdurre anche da noi qualche sistema iraniano lo troveranno tra i propri lettori. Ma c’è poco da ridere visto che il guardasigilli è già sbattuto sul banco degli imputati, anzi decisamente già in gabbia, visto il livello delle accuse messe sul piatto. L’imputato Nordio dovrà rispondere soprattutto di istigazione a delinquere solo per aver avuto il coraggio di dire al Parlamento di svegliarsi, di smettere di essere “supino” davanti al pubblici ministeri. Viene accusato di aver pronunciato a voce alta quel che la maggior parte dei politici da anni sussurra nei corridoi e nel transatlantico di Montecitorio.
Il coraggio di Nordio spaventa le toghe. Perché sanno che un ex pubblico ministero che per 40 anni ha conosciuto dall’interno della corporazione più controriformatrice ogni battito, ogni sospiro, ma anche i complotti e le tentazioni “golpistiche”, non è un interlocutore da sottovalutare, soprattutto da avversario. Soprattutto perché, dopo l’uscita dei due libri di Palamara e Sallusti, tanti cittadini si sono fatti sospettosi, non credono più alla neutralità delle toghe, guardano con diffidenza quella bilancia che dovrebbe rappresentare l’imparzialità dei giudici, ne hanno capito il ruolo politico. E non giovano alla reputazione delle toghe vicende come quella che ha visto come protagonista un eroe di mani Pulite come Piercamillo Davigo e neppure il fatto che un altro pm della procura di Milano come Fabio De Pasquale sia processato a Brescia perché sospettato di aver danneggiato nel processo Eni, nascondendo prove a loro favorevoli, gli imputati che oltre a tutto sono poi stati assolti.
E’ davanti a questa tipologia di pubblici ministeri che il Parlamento vuol continuare a essere supino? E inoltre: dobbiamo lasciare le cose come stanno, quando un eroe di quei Ros che hanno anche arrestato Messina Denaro, uno come Mario Mori ha sofferto per 17 anni processi e accuse ingiuste e ingiuriose, e altre persone per bene estranee ai processi subiscono la gogna delle intercettazioni? Sono queste le cose che i pubblici ministeri e anche una parte del mondo politico non vogliono sentirsi dire. Avere un ministro di giustizia che dichiara esplicitamente di essere favorevole all’abolizione tout court del reato di abuso d’ufficio mette in imbarazzo soprattutto il Pd i cui sindaci, come ha detto Nordio alla Camera, stanno facendo la fila per implorare il ministro di essere coerente e di non accettare compromessi, perché non ne possono più di vedere la propria mano che trema davanti alla paura della firma.
Il problema politico oggi non è dunque quello della tenuta del ministro sui propri principi giuridici, perché qualche compromesso, come lui stesso ha detto, dovrà trovarlo. E non è neanche quello della tenuta della maggioranza, perché se sorprendentemente la premier ha voluto proprio lui, l’ex procuratore aggiunto di Venezia che non ha mai celato il proprio pensiero dietro nessuna forma di opportunismo, questo significa quanto meno che Giorgia Meloni ha in mente un piano di riforme sulla giustizia. Pur non coincidendo il suo pensiero totalmente con quello del guardasigilli da lei stessa scelto. Il punto sta in quelle tre righe finali dell’editoriale di Folli: nessuno può sottovalutare il potere vero della magistratura e la sua forza anche mediatica. E’ su quello che la politica deve oggi misurare la propria forza. Occorrerà essere politicamente armati, cioè rivendicare l’autonomia del Parlamento, e abbandonare la subalternità alle toghe. Non facile.
Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.
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